A Bordeaux l’ultimo comizio della campagna elettorale

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Forse Dio non vota socialista, ma il tempo certamente sì. L’ultimo comizio di Franà§ois Hollande prima del voto di domenica si svolge in un bel parco di Bordeaux trasformato in pantano da una specie di nubifragio tropicale. Però quando spunta il candidato-quasi-presidente, almeno stando ai sondaggi (27% contro il 26,5 di Sarkò, ma 56 a 44 al secondo turno), il sole fa lo stesso. Lui coglie la palla al balzo: «Oggi il sole è a sinistra», e giù applausi. Idem quando promette che, per il ballottaggio del 6 maggio, «il cielo sarà  rosa».
Insomma, le cose vanno talmente bene che anche il mite, onesto, cortese e noiosissimo Hollande sembra quasi un oratore. Continua a non dire nulla, o almeno nulla di più di quel che è scritto nel suo programma elettorale abbastanza vago per non scontentare né preoccupare nessuno, ma lo dice meglio, con calore, con passione e con la voce arrochita dai troppi comizi, nonostante i consigli del logopedista di fiducia e le pasticche al miele della compagna Valérie. Strilla che «l’alternanza è una somma di collere», collera contro le disuguaglianze che aumentano, lo strapotere della finanza, i valori della République traditi dalla destra ingorda. Tuona contro le «grandi fortune» che finanziano Sarkozy e si radunano «nei saloni privati».
Qui si fa già  festa, perché tutti sono convinti che la faranno a Sarkò. Hollande ribadisce che i voti li vuole subito, perché «è adesso che bisogna creare la dinamica» e chiede di nuovo di non disperderli, cioè di non darli alla sinistra vetero-massimalista di Jean-Luc Mélenchon. Però per la prima volta lo sfidante urla «Fatevi un piacere! » a una folla che non ne concepisce uno maggiore che sbattere Sarkozy fuori dall’Eliseo, e la Marsigliese la canta con un sorriso grande così.
Hollande gioca la carta della semplicità  e della modestia contro l’«iperpresidenza» sarkozysta. Perfino con certe civetterie mitterrandiane. Appena sbarcato a Bordeaux, alla domanda su dove attenderà  il verdetto di domenica, sorride: «A Tulle, ovviamente», la «capitale» della Corrèze di cui è stato presidente, la sua metropoli di 25 mila abitanti. Ma perché, monsieur Hollande? «Perché voto lì e ogni voto conta», risponde lui sornione. E tutti pensano a Franà§ois I, insomma Mitterrand magno, che aspettò l’incoronazione nel paesello delle vacanze.
I socialisti, in ogni caso, non cambiano. Anzi, dopo tanti anni di quaresima, gli appetiti ministeriali incattiviscono l’abituale tutti contro tutti. Il totoportafogli impazza. Per la poltrona più prestigiosa, quella di primo ministro, è in pole Martine Aubry: in realtà  Hollande la detesta (e viceversa), però è una donna, è la mamma delle 35 ore, ha un’immagine di sinistra e quindi è perfetta per affrontare i sindacati nell’autunno caldissimo che tutti prevedono senza ammetterlo. L’Interno se lo giocheranno, pare, Manuel Valls, il meno socialista dei socialisti francesi, e un grande amico di Hollande, il deputato-sindaco di Digione, Franà§ois Rebsamen. Gli Esteri, l’usato sicuro Laurent Fabius e Pierre Moscovici. All’Economia, quasi certo Michel Sapin, il miglior amico di Hollande. La Giustizia andrà  o ad Arnaud Montebourg, il Robespierre del Ps, o a Eva Joly, la Di Pietro dei Verdi, che però dal basso del suo 2% potrà  forse chiedere ma certo non pretendere. Di sicuro, il primo governo del quinquennio hollandista sarà  tutto socialista, con al massimo un radicale e un verde: per aprire a Mélenchon si aspetta di vedere come andranno le legislative di giugno.
Ma intanto non bisogna farsi prendere dall’euforia. Fra i 15 mila (fonte Ps) del pubblico di Bordeaux, lo spiega un rosso antico uguale ad Asterix, probabilmente già  iscritto ai tempi del Front populaire: «Finora va tutto bene. Purché la destra non ci f… anche stavolta! ».


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