Bersani firma il gran passo

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«Amerei molto che il prossimo vertice di sette ore e mezzo lo si facesse per dare un po’ di lavoro». Considerato il vincitore della lunga trattativa sull’articolo 18, Pierluigi Bersani si offre soddisfatto al Tg3 della sera. «Abbiamo fatto un passo avanti importantissimo», dice. Ma il suo primo messaggio è per la Cgil: il partito non smetterà  di marcare stretto il governo, ora però bisogna accettare la mediazione. Il sindacato rimanda a oggi il commento ufficiale, Camusso sostiene di voler leggere il testo anche dopo ore che il testo circola. Ma «passo avanti» è una formula che può andar bene per evitare che tra partito e sindacato la strada si divarichi.
Se Monti già  parla di fiducia e Fornero addirittura confonde disegno di legge e decreto, il segretario del Pd spiega che invece qualche modifica si dovrà  pur fare, in parlamento. Lo studio del testo è fondamentale e nemmeno semplicissimo, visto che gli otto rapidi commi dell’originale articolo 18 (seccamente intitolato «reintegrazione nel posto di lavoro») sono diventati due pagine e mezzo di norme complicate, così rubricate: «Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo». Lo scoglio del licenziamento per motivi economici, cosiddetto «oggettivo», è stato superato perché il Pd ha ottenuto che il reintegro non sia più escluso. Sarà  però confinato in spazi ridotti, nel caso in cui il giudice accerti che le ragioni economiche sono «manifestamente insussistenti», cosa che in tempi di crisi economica non sarà  frequente. In più, oltre alla riduzione del risarcimento (che addirittura andrà  parametrato sugli sforzi che il licenziato ha fatto per cercarsi un altro lavoro) c’è il problema che dovrà  essere il lavoratore a portare in giudizio l’azienda. Ma questi sono i temi dei prossimi giorni, ieri il Pd poteva festeggiare largamente. Tanto che addirittura il sindaco di Firenze Renzi ha dovuto dire che «hanno vinto Bersani e il Pd», aggiungendo subito che secondo lui non era una battaglia importante: «L’articolo 18 è un articolo del passato».
Saldato il fronte interno con questo successo, mentre ieri cantavano nel coro anche quelli che nei giorni scorsi intimavano a Bersani di assecondare subito i propositi di Monti e Fornero, la linea di frattura del Pd comincia già  a spostarsi verso le aule parlamentari. L’ala «montiana» spinge per un’approvazione a tambur battente, addirittura in due mesi secondo Enrico Letta. Stefano Fassina parla di «soluzione positiva e innovativa», ma allega l’elenco degli «altri punti che vanno rivisti», si va dagli ammortizzatori sociali per i parasubordinati all’aumento dei contributi per gli stagionali. Rosy Bindi registra il «significativo cambiamento rispetto all’impostazione originaria» ma lo condisce con un attacco alla ministra del welfare, accusata di «ambiguità » perché dicendo che ora le imprese non hanno alibi per non investire «avvalla una interpretazione delle modifiche che renderebbe più facili i licenziamenti, anziché tutelare i diritti dei lavoratori». Cesare Damiano, acquattato tra i giornalisti durante la conferenza stampa del governo, sottolinea tra i punti positivi una cosa che non cambia: «L’onere della prova rimane a carico del datore di lavoro». Insomma, riassume Bersani, il nuovo articolo 18 «non sarà  scritto con la mia penna» ma il Pd ha ottenuto che «qualsiasi tipo di licenziamento non possa essere semplicemente monetizzato» e tanto basta. Nell’attesa che anche la Cgil, come si augura il segretario, «registri il cambiamento», lo registra Legacoop che in mattinata risulta tra i firmatari, con l’Alleanza delle cooperative, di una nota molto critica ispirata dalla Confindustria, e in serata con Poletti chiarisce che le modifiche strappate a Monti sono comunque «positive».
Giornata di festa, ma l’ira funesta di Di Pietro che alza il tono contro il governo chiarisce al Pd che gli ostacoli non sono spariti. Il leader dell’Idv oltre a fornire sempre nuovi argomenti a chi tra i democratici non vede l’ora di mollarlo per sempre, rilancia la concorrenza a sinistra, bocciando la mediazione così come fanno Federazione della sinistra e Sel (ma non parla Vendola). Non scatta però la prima trappola piazzata da Di Pietro tra i piedi di Bersani, visto che al senato democratici e berlusconiani si uniscono nella lotta e rimandano a colpi di maggioranza una parecchio imbarazzante mozione dell’Idv in difesa dell’articolo 18 così com’è, e come non sarà  più


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