La ripartenza di Passera e l’incognita del dopo-voto

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Protagonista di questa eventuale e futuribile nuova fase, inaugurata forse non casualmente con l’approvazione dell’asta delle frequenze tv, sarà  il ministro Passera. Che ieri ha spiegato il suo «piano» per rimettere in moto il paese. E far uscire dalle secche il governo, le cui performance sono state fin qui poco smaglianti, non solo a giudizio della sinistra più e meno radicale che lo aspetta al varco della riforma del mercato del lavoro ancora incerta («i punti di fondo non vanno toccati, ma si possono fare aggiustamenti», ha assicurato Bersani davanti alla presidente uscente di Confindustria Marcegaglia). La consapevolezza della scarsa efficacia della propria azione è diffusa ormai anche nel governo, tant’è che alla vigilia del vertice nel gruppone di palazzo Chigi c’era chi ammetteva, sebbene in via anonima e confidenziale, che «è finita la spinta propulsiva». 
La spinta propulsiva è evidentemente finita, se mai c’è stata. Non per questo c’è da credere alle minacce di crisi da parte Pdl. Anche se martedì l’ex ministro Paolo Romani ha lasciato la commissione finanze della camera, dove si era consumato lo scontro sull’asta delle frequenze, con un «ci rivediamo al voto». E Berlusconi ha cancellato il pranzo programmato per oggi con il premier. «Per evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze tv». Ma anche per fare pressioni sulle misure chieste da Alfano su tasse e lavoro, per non dire sulla giustizia e sul testo anticorruzione in arrivo alle camere. Fonti vicine a Monti non negano «il segnale brutto ma non così preoccupante come può apparire». 
Anche perché il governo sa bene che buona parte dei malumori di Pdl (e anche del Pd) viene dall’ormai avviata campagna per le amministrative. In cui i due partiti, uniti sul governo, debbono mostrarsi divisi a vantaggio delle competizioni locali. Di qui a fine aprile il calendario delle camere prevede fra l’altro l’approvazione della legge sulla semplificazione, un primo sì alla legge sul mercato del lavoro. E la partenza del testo unitario sulle riforme istituzionali, depositato ieri in commissione al senato.
Ma è una scaletta teorica. Una variabile dipendente del risultato elettorale che ridefinirà  il peso delle forze di maggioranza, e gli interessi dei partiti per l’ultima parte della legislatura. Su tutto: legge elettorale compresa. Insomma, nonostante l’appello che ieri Monti ha rivolto ai partiti, se ne riparla il 7 maggio, dopo il primo turno delle amministrative, e quello delle presidenziali francesi, destinate segnare la futura Europa. 
Nel frattempo l’esecutivo ripone su Passera le speranze di ripartenza. Passera, il più politico dei tecnici, a cui vengono attribuite le ambizioni di premiership, quello che il partito trasversale dei montiani guarda per il 2013. Il ministro dello sviluppo economico ieri, esponendo il suo «programma», ha spiegato che «non esistono singole misure, singole idee o ideone, che possano risolvere il problema della crescita», ma serve «una serie di iniziative concrete che possano avere effetti anche nel breve periodo». Dalle riforme alle infrastrutture al debito (oggi è convocato il tavolo con le banche). Nel «programma» di Passera c’è una «movimentazione» di 70-80 miliardi da avviare per «i prossimi tre anni». Con un sottinteso: chi meglio di lui potrebbe gestire non solo lo start up della ripresa, sempreché arrivi, ma la fase successiva, quella della prossima legislatura? «Bisogna lavorare con determinazione e umiltà  su tutti motori. La crescita verrà  nel tempo se tutti i motori lavorano nella stessa direzione e se si interviene con disciplina su tutti». Parole misurate, quasi più adatte a un premier che a un ministro. Ma se ne riparla dopo il 7 maggio.


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