«Ho falciato 77 vite per autodifesa» L’arringa-choc del killer di Utoya

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OSLO — Il suo avvocato ha abbassato lo sguardo quando Anders Behring Breivik ha portato la mano al cuore e steso il braccio destro con il pugno chiuso. Ai familiari delle vittime e ai sopravvissuti non è stato risparmiato il «saluto dei cavalieri templari, segno di forza, onore e sfida ai tiranni marxisti d’Europa», come spiegava lo stesso Breivik nel «manifesto» pubblicato poche ore prima delle stragi del 22 luglio 2011. Con l’elenco delle 77 vittime, citate una ad una con nome, età  e causa della morte, si è aperto ieri nell’aula 250 del tribunale di Oslo il processo più doloroso della storia della Norvegia. L’imputato ha ammesso i fatti ma si è dichiarato non colpevole, sostenendo di aver agito «per autodifesa» e disconoscendo la legittimità  della Corte. Rispetto a nove mesi fa Breivik è apparso appesantito, giacca nera abbottonata e cravatta color ocra, una cura maniacale nel sistemarsi i polsini della camicia, quegli occhi azzurri senza fondo. Ha sorriso spesso, con le labbra sottili contratte in uno spasmo. Ha corretto con educazione il giudice che lo definiva «senza occupazione» perché, adesso, il 33enne che si è ripromesso di salvare l’Europa dall’avanzata dell’Islam e scuotere dalle fondamenta la società  norvegese tradita dalle politiche multiculturaliste del partito laburista «è uno scrittore». Dopo due rapporti clinici che sono giunti a conclusioni opposte, spetterà  ai giudici pronunciarsi sul suo stato di salute mentale. Se riconosciuto un soggetto psicotico incapace d’intendere e di volere sarà  affidato a cure psichiatriche, per lui «un destino peggiore della morte». In caso di comprovata responsabilità  penale rischia fino a 21 anni di carcere per atti di terrorismo, periodo di detenzione ulteriormente prorogabile ogni cinque anni se sarà  provata la sua persistente pericolosità  sociale.
In Aula non lo ha scosso la ricostruzione dell’attacco al centro politico di Oslo con un’autobomba imbottita di 950 chili di esplosivo che fece 8 vittime e ferì 209 persone. Si è mostrato impassibile davanti alla striscia rossa disegnata sulla mappa di Utoya per segnalare gli spostamenti nella caccia ai ragazzi che partecipavano al tradizionale campo estivo della gioventù laburista. 
Sull’isola 40 km a nord-ovest di Oslo le persone uccise dai suoi proiettili furono 67, 2 annegarono nell’acqua gelida nel tentativo di salvarsi fuggendo a nuoto: 34 avevano tra i 14 e i 17 anni, 22 tra i 18 e i 20 anni. Il Paese aspetta risposte sui colpevoli ritardi nell’operato della polizia che lasciò all’assassino 75 interminabili minuti. Le scuse del premier Jens Stoltenberg sono arrivate solo un mese fa.
Ieri Breivik si è commosso, invece, quando l’accusa ha mostrato un suo video di propaganda. Un tremolio del mento, il volto lattiginoso che s’arrossa, poi le lacrime. A udienza terminata, la spiegazione ufficiale: «Le stragi furono crudeli ma necessarie per salvare l’Europa da una guerra in corso», ha detto il capo dello staff di difesa Geir Lippestad, che in questo processo della durata prevista di almeno dieci settimane ha chiamato a testimoniare figure dell’estremismo come il mullah Krekar del gruppo islamista Ansar Al Islam e il blogger xenofobo Fjordman. La pericolosa linea della difesa è dimostrare che i cosiddetti principi teorici dell’imputato, chiamato a deporre da oggi, sono condivisi in uno scontro di civiltà  in atto. 
Una ribalta mondiale per diffondere il suo credo delirante, Breivik ha ottenuto quello che cercava? «Il partito laburista non ha mai avuto tante iscrizioni tra i giovani come in questi mesi — dice Erika Fatland, scrittrice 28enne alle prese con un libro sul 22 luglio — la società  non ha rinunciato ai suoi valori di apertura e tolleranza, i ragazzi scelgono di impegnarsi per dare il loro contributo». Non ha vinto lui.


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In attesa della risposta dopo la «folle» strage

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