«Vendola ha favorito la clinica della Chiesa»

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BARI — Amaro bis per Nichi Vendola. In due giorni si ritrova indagato due volte. Mercoledì aveva scoperto, dall’avviso di chiusura indagini, di essere accusato di abuso d’ufficio per aver favorito la nomina del primario di chirurgia toracica del San Paolo riaprendo i termini del concorso. Ieri apprende che la retromarcia su una transazione da 45 milioni di euro concordata per chiudere un contenzioso tra la regione Puglia e l’ospedale Miulli di Acquaviva, di proprietà  della Chiesa, gli è costata altre tre imputazioni: peculato, falso e abuso d’ufficio. Il sospetto dei magistrati è che Vendola abbia favorito l’istituto attraverso una transazione al rialzo e una retromarcia su quella stima gonfiata che peggiorò le cose con una condanna del Tar ancora più favorevole all’ospedale ecclesiastico. «Me lo avessero detto avrei fatto un’unica conferenza stampa», ironizza il governatore. Stemperando la preoccupazione per quell’indagine sulla Sanità  che si moltiplica in filoni e fascicoli diversi.
Tutto era iniziato con le indagini su Alberto Tedesco, ex assessore pd alla Sanità , ora senatore, per il quale è stato chiesto dai pm baresi due volte l’arresto, con l’accusa di essere stato a capo di un’associazione che pilotava nomine e appalti. C’è anche lui tra gli indagati di questa vicenda. Assieme al suo successore Tommaso Fiore e ai vertici del Miulli, il vescovo di Acquaviva Mario Paciello e don Mario Laddaga, responsabile della struttura. È la storia di un accordo mai chiuso. L’ospedale sosteneva di essersi indebitato per 76 milioni per costruire la nuova sede con fondi propri invece di quelli per l’edilizia sanitaria cui non aveva potuto accedere. Più di quanto avesse ottenuto dalla Regione come rimborso: 42,6 milioni di euro aveva scritto in un ricorso presentato al Tar. 
La Regione cercò una transazione da 45 milioni di euro. Ma secondo la pm Desirèe Digeronimo e il procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno l’accordo fu raggiunto su presupposti falsi, come segnalato dall’Ares e dagli uffici Regionali, da lì l’accusa di concorso in falso ideologico per Vendola e l’assessore Fiore. In più c’è l’accusa di aver preso i soldi destinati a quell’accordo da un capitolo di bilancio diverso, che aggiunge l’imputazione di concorso in peculato e abuso d’ufficio, contestate anche a Alberto Tedesco, il vescovo Mario Paciello, Mimmo Laddaga, e il dirigente Rocco Palmisano. La stessa Regione fece poi una retromarcia per autotutelarsi. Ma sulla vicenda è già  intervenuto il Tar che ha condannato la Regione. Un pasticcio di cui ora Vendola è chiamato a rendere conto. Anche se la questione ha aperto dubbi e divergenze anche tra gli inquirenti. Per questo c’è stata una richiesta di proroga delle indagini. 
Il governatore però respinge ogni accusa. E ribadisce la sua estraneità . «Se per il professor Sardelli mi si addebita di aver fatto vincere il migliore — dice — qui per davvero non riesco ad immaginare nulla che possa riguardarmi». Ma riconferma la sua assoluta fiducia nella magistratura.
Intanto si chiude anche il filone sugli accreditamenti delle cliniche private che coinvolge Alberto Tedesco e altre 46 persone. Nell’indagine vengono contestati a vario titolo i reati di corruzione, concussione, truffa ed estorsione ma per il senatore l’accusa è di abuso d’ufficio, falso e truffa.


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Un abuso da fermare

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Un altro limite è stato superato, forse irrimediabilmente. Un prepotente, abusando in modo autoritario del suo potere e del conflitto d’interessi che lo protegge, ha rovesciato il tavolo. Si è assiso dinanzi alle telecamere di tutti i notiziari e, infischiandosene di ogni regola, si è lanciato in messaggi promozionali per i candidati della destra. Che cosa resta più del corretto gioco elettorale dopo questo oltraggio? Ci sono da qualche parte nelle istituzioni le energie e la volontà  per mettere fine a questa oscenità  per la democrazia?

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