Tadic si dimette e si ricandida

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Ma la stessa Djukic-Dejanovic, secondo i giornali di Belgrado, avrebbe dichiarato che le presidenziali si terranno il 6 maggio, con legislative e municipali. 
Perché questa decisione di Tadic che resta il leader indiscusso del Partito democratico (Ds)? Le motivazioni che lui stesso ha dato convincono poco, soprattutto perché la decisione di trasformare le elezioni politiche ed amministrative in un referendum sulla sua persona, rischiano di apparire come una stretta istituzionale a più livelli, sia verso le elezioni politiche che avrebbero dovuto giudicare l’operato del governo in carica, il disastro economico e amministrativo della Serbia, sia verso la sua storica promessa: «Con me avrete l’Europa e il Kosovo». Con chiaro riferimento alla storica rivendicazione su una realtà  territoriale che rappresenta la culla storico-identitaria dei serbi e che invece ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel febbraio 2008.
Anche ieri ha motivato la scelta in questo senso, sottolineando anche i «i progressi del Paese» diventato ormai terra di delocalizzazione privilegiata delle fabbriche italiane e tedesche (che li ha bombardati a fare la Nato?). Per lui resta «la strada dell’integrazione europea e del mantenimento dell’integrità  territoriale del nostro paese. Non riconosceremo l’indipendenza del Kosovo», ha concluso.
Pronta – quasi in sintonia – è arrivata subito dopo la candidatura alle presidenziali di Tomislav Nikolic, leader dell’opposizione conservatrice, ma che da molti anni ha duramente rotto con i Radicali serbi dell’ultranazionalista Vojslav Seselj (ora in carcere all’Aja per crimini di guerra), ed è presidente del Partito del progresso serbo (Sns). Nikolic si è detto sicuro della vittoria su Tadic e ha rinnovato l’accusa contro il presidente in carica, di fatto in campagna elettorale a favore del governo e dei Ds da più di un mese. Denunciando che questo suo attivismo era funzionale alla sua rielezione come presidente nel 2013. Così è come se Tadic avesse deciso di «dargli ragione», andando a vedere subito le carte. Anche perché la crisi economica devasta la vita dei cittadini, con la corruzione dilagante. E l’ultima scelta dell’Unione europea (su questo c’è stato, negli ultimi giorni, perfino l’irresponsabile voto a schiacciante maggioranza del Parlamento europeo) di impedire la dislocazione di seggi elettorali per il voto, fin qui, legislativo e amministrativo anche nelle zone dov’è forte la presenza serba in Kosovo – la cui indipendenza Belgrado non riconosce -, ha fatto il resto quanto a popolarità  di Tadic, delle sue promesse su «Europa + Kosovo», e del Partito democratico ormai al potere da molti anni. 
Il fatto è che Tadic ha gettato sul piatto della bilancia tutta la sua residua popolarità  soprattutto di fronte all’evidenza pesante dei sondaggi che inesorabilmente danno perdente proprio il suo Partito democratico nei confronti dell’Sns di Nikolic. I media europei e italiani soprattutto, paventano in questi giorni che un «ex alleato di Milosevic» come Nikolic vinca le elezioni. Sorprendente considerazione, visto che l’attuale governo Cvetkovic esiste e si sostiene, come del resto anche la presidenza Tadic, con ministri del Partito socialista che fu di Milosevc – a cominciare da Ivica Dakic, ex pupillo di «Slobo» e attuale ministro degli interni.
Tadic ha anche detto che le sue dimissioni dimostrerebbero che lui «non è attaccato alla poltrona». Però si ricandida. Sembra un gioco delle parti. Ma nei Balcani non si gioca. La prova di forza istituzionale è anche un messaggio all’Unione europea che ha rimandato all’infinito l’adesione per accettare un mese fa per la Serbia solo lo «status di paese che aspira all’adesione». Con il disastro del Kosovo, la cui indipendenza priverebbe la Serbia del 15% del proprio territorio fondativo anche secondo la nuova Costituzione voluta dallo stesso Tadic, non basterà  appellarsi «alla stabilità  macroeconomica del paese, all’aumento della competitività  della nostra produzione sui mercati esteri con l’incremento dei posti di lavoro», come ha dichiarato. 
Finora, con gli investimenti esteri è cresciuta solo la diseguagliaza, la miseria di larghi strati della popolazione, l’arricchimento di pochi. La destra conservatrice e nazionalista fa leva su questo. La sinistra non c’è e i sindacati continuano ad essere per larga parte di regime. E l’Unione europea, ora alle prese con le sue interne spinte nazionaliste dentro la crisi finanziaria internazionale, nei Balcani non è mai stata così impopolare.


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