Un’assurda violenza Genova, 2001 un film per non dimenticare

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Tutto quello che è contenuto nel film di Daniele Vicari Diaz – non pulite questo sangue lo sapevamo già , perché largamente documentato e testimoniato. Eppure il film provoca un’impressione enorme. Il cinema, nonostante la sua perdita storica di terreno come strumento di formazione e di maturazione delle coscienze, mantiene ancora una potenza straordinaria. Lo stiamo vedendo anche nel caso del film di Giordana Romanzo di una strage. Essere informati dal giornalismo, dalla tv, dai libri, non è la stessa cosa che veder rappresentati i più drammatici fatti della nostra vita civile da un racconto proiettato su un grande schermo. Naturalmente “un film è un film”. Senza attribuire all’espressione un senso riduttivo o giustificativo delle eventuali mancanze, quando l’argomento è così reale e caldo, ma per dire che una finzione narrativa esprime uno sguardo e un’interpretazione. Non sostituisce lo studio e la conoscenza di tutti i fatti. Ma può agire da invito ad approfondire, da finestra aperta, da lampadina accesa per invogliare a saperne di più.
Che la conformazione di Genova fosse inadatta a governare l’ordine pubblico e dunque ad ospitare i capi delle otto maggiori potenze, era stato oggetto di polemiche alla vigilia del vertice previsto tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001. Trascorso poco più di un mese dall’insediamento del governo Berlusconi. 
Le manifestazioni pacifiche iniziano giovedì 19. Nel corso dei quattro giorni i manifestanti coinvolti, provenienti da moltissimi paesi, saranno circa trecentomila. Nell’ordine di (forse) qualche centinaio quantificati (ma non identificati o puniti, prevenuti e isolati malgrado le segnalazioni e gli allarmi) i violenti che effettivamente mettono la città  a ferro e fuoco nonostante eccezionali misure di sicurezza. Il venerdì pomeriggio viene ucciso in piazza Alimonda, dal carabiniere Placanica, il manifestante Carlo Giuliani. Ma verrà  giudicata legittima difesa. Numerose manifestazioni hanno luogo l’indomani sabato 21. Dopo le 23 circa 350 poliziotti soprattutto del reparto mobile di Roma fanno irruzione negli edifici del complesso scolastico Diaz-Pascoli di via Battisti. Rispettivamente adibiti, con tutti i permessi, uno a dormitorio e l’altro a sede del media center e dell’assistenza legale dell’organismo promotore, Il Genoa Social Forum. Luogo di un via vai misto di operatori a vario titolo (giornalisti, avvocati) e di ogni tipo di manifestanti in cerca di riparo per la notte. Un centinaio quando arriva la polizia. La “perquisizione” si risolve in un massacro, seguito da arresti e detenzione illegale. La caserma di Bolzaneto, dove i fermati vengono tradotti, è sede di abusi ancora peggiori. Non solo esponenti delle forze dell’ordine (in particolare guardie penitenziarie) ma anche addetti all’infermeria infieriscono con violenze fisiche e umiliazioni in particolare sulle donne. Amnesty International definirà  i fatti come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.
Il film, che non ha un andamento lineare e didascalico, ha inteso comunicare soprattutto “il senso di spaesamento” (parole del regista), di confusione, di trappola inspiegabile e senza vie di uscita vissuto dalla massa dei partecipanti a quelle giornate. Lo fa (fondandosi su atti processuali, sentenze e sulla grande massa di testimonianze disponibili) seguendo i movimenti di una decina di persone. Giovani militanti in schiacciante maggioranza non violenti o organizzatori, ma anche un pensionato accorso a Genova sotto la bandiera sindacale e capitato per caso alla Diaz in cerca di un ricovero, e un cronista (Elio Germano) venuto da Bologna per esclusivo interesse professionale. Tutti nel tritacarne del pestaggio. Quello che le autorità  cercano di giustificare esibendo le false prove del ritrovamento di armi. Un elemento visivo ricorrente guida il percorso: l’immagine rallentata di una bottiglia che vola e, innocua, si schianta a terra. Testimonianza di un’aggressività  diffusa, ma soprattutto richiamo ai pretesti accampati dalle forze dell’ordine per giustificare l’ingiustificabile. 
Il film ha una propria angolazione dalla quale si potrà  lamentare la mancanza di una chiave più documentaristica, ma non c’è dubbio che si risolva in un pesantissimo atto d’accusa che amplifica il tanto che in un decennio è stato scritto sui giornali e detto nelle aule di tribunale. 
Il primo agosto 2001 scriveva su Repubblica Giuseppe D’Avanzo: “A Genova si è consumato uno strappo. Quelle scene di pestaggio su uomini e donne inermi hanno cancellato con un colpo di spugna la consapevolezza che tra i manifestanti c’erano gruppi di violenti, che quei violenti hanno aggredito la polizia, che la polizia si è difesa. Perché non è difendersi aggredire anziani, disabili, in alcuni casi padri con bambini al collo”.


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