Eva con Eva

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Nella seconda puntata di Girls – il nuovo telefilm della rete americana HBO, scritto diretto e interpretato da una ventiseienne – tre delle quattro inseparabili amiche sono nella sala d’aspetto di una clinica. Hannah è convinta di aver contratto una malattia venerea, una a caso. Marnie e Shoshanna cercano di tranquillizzarla. Quest’ultima con particolare enfasi, spiegando e argomentando, insistendo sui particolari… fin quando, di colpo, scoppia a piangere. Sono vergine, dice. Silenzio. Marnie-colpo-di-genio: sai che ti dico, il sesso è decisamente sopravvalutato. Si abbracciano. Dopo gli anni dello scontro violento, di Eva contro Eva, della rivalità  sul lavoro e nei sentimenti, azzerati dalla crisi gli elementi del conflitto, le donne tornano alleate. La sorellanza è nell’aria, scrive il New York Times, ed è uno dei sentimenti che potrebbe salvarci. E per pubblicizzarlo l’autrice dell’articolo, Natalie Angier, spiega che secondo gli ultimi studi sul mondo animale, le femmine di molte specie agiscono secondo principi di solidarietà  e amicizia la cui grazia avevamo finora trascurato. Le elefantesse, per esempio, stanno sempre lì a dirsi dove sono e cosa stanno facendo, usando i barriti come messaggini del cellulare. Così le femmine di scimpanzè, che si guardano continuamente negli occhi e si riposano sdraiate schiena contro schiena, per proteggersi. Persino il celebre spulciarsi delle scimmie blu del Kenya, sarebbe una forma di sorellanza. In origine la parola «sorella» identificava le donne che prendono i voti, e infatti la traduzione inglese sisterhood, come primo significato si riferisce al monachesimo. Curiosamente, ma neanche troppo, l’equivalente maschile, brotherhood, rimanda al concetto di cameratismo, confraternita, società . Come spesso accade, una parola di genere maschile trattiene il significato più ampio, spesso universale. 
Il femminismo prese il termine sorellanza per farne uno dei suoi principi, differenziandolo dall’apparentemente omologo fratellanza. Basandosi sulla celebre pratica del confronto – autocoscienza si diceva allora – le teoriche del femminismo stabilirono che l’alleanza femminile si fondava sulla differenza. Non un cameratismo becero e indistinto, ma diverse individualità  unite per raggiungere un obiettivo comune. 
La solidarietà  femminile, si diceva, non è semplicemente nobile e innocente, ma un patto politico, un abbraccio consapevole. Anche pericoloso, talvolta. Alla fine degli anni Sessanta per le strade di New York (a 25 centesimi per le donne e 50 per gli uomini) si vendeva il manifesto SCUM, Society for Cutting Up Men (Società  per l’eliminazione dell’uomo). Scritto da Valerie Solanas, che in seguito dichiarò trattarsi di un testo ironico, ma che nel frattempo sparò ad Andy Warhol rischiando di ucciderlo. 
Archiviati gli antichi furori, la sorellanza cambia di segno, e si moltiplica in diverse alleanze, sorta di «class action», con obiettivi precisi. Nascono gruppi di donne che chiedono, fanno o sognano qualcosa. Gli esempi sono infiniti, internazionali e locali: si va, infatti, da Pari o dispare di Bonino e Kostoris, che combatte per ottenere parità  e meritocrazia, fino a Oltre la luna, di Modica (Ragusa) per valorizzare il lavoro e le competenze femminili, alle Argonaute, in lotta per il benessere e la qualità  della vita delle donne, nel comprensorio alpino valtellinese, sotto l’egida di Hannah Arendt. Diverse, diversissime, ma unite negli obiettivi. «Siamo un gruppo di donne diverse per età , professione, provenienza, appartenenza politica e religiosa»… scrivono le donne di “Se non ora quando”. 
Con la volontà  di presidiare il confine della dignità  femminile, sotto il quale germogliano intolleranza e violenza. Confini morali è anche il titolo di un saggio della filosofa americana Joan Tronto, che introduce il tema dell’etica della cura come segno distintivo della solidarietà  femminile. Prendersi cura e saperla ricevere. A partire dalla maternità  fino alla vita civile, le donne riconoscono l’esistenza dell’altro attraverso un processo di accudimento. Il bisogno crea un vincolo, e questo vincolo è il modo in cui conosciamo il mondo. La cura, scrive Tronto, è «una specie di attività  che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare e riparare il nostro “mondo”». Quando Laura Pausini riunì le sue colleghe cantanti e mise in piedi un concerto tutto al femminile, a San Siro, per raccogliere fondi per l’Abruzzo colpito dal terremoto, operò secondo questo principio.
La sorellanza non passa attraverso l’impatto dei corpi schierati in battaglia, ha a che fare col logos ed è quindi soprattutto l’arte del racconto, del raccontarsi. Secoli di oralità  che però, hanno faticato a trasformarsi in letteratura. Per un lunghissimo tempo l’amicizia è stata virile, ogni avventura collettiva era un’epica di maschi. Se escludiamo le edificanti – anche divertenti, per carità  – vicende delle piccole donne di Alcott, non viene in mente molto altro. 
Nella letteratura della mia generazione, la prima storia di amicizia femminile, che avesse una potenza epica paragonabile ai racconti di guerra, di college, di sport imposti da quelle maschili, è stata la vicenda narrata da Jeffrey Eugenides in Le vergini suicide (trasformata in un film da Sofia Coppola). Ma anche allora la voce che svela la tragedia delle cinque sorelle Lisbon, morte suicide a pochi mesi di distanza, è quella di un “noi” maschile, composto dagli adoranti e attoniti ragazzini, incapaci di comprendere il mistero di tanta mortale bellezza. Una delle prime storie di sorellanza, abbastanza potente e feroce da non far rimpiangere Dickens, la scrive un uomo e la fa raccontare da alcuni pischelli brufolosi. Il romanzo di Eugenides esce nel 1993, e, oltre all’espediente narrativo della voce maschile, anche la malinconia, la reticenza del senso, la lontananza onirica della catastrofe offuscano la percezione che si tratti davvero di una dispiegata avventura al femminile. 
Ma ormai ci siamo. È la fine degli anni Novanta – e insieme la fine di qualsiasi cosa tentasse ancora di rimpiangere Jeffrey Eugenides raccontando l’America degli anni Settanta – quando va in onda la prima puntata di Sex and the City. Carrie Miranda Charlotte e Samantha, diventano le amiche per antonomasia. La loro religione è il lusso, il campo di battaglia il desiderio. Imperverseranno per anni, coi loro vestiti firmati, i cocktail cosmopolitan e i locali. Il logos diventa gossip, la conversazione, i pranzi e gli aperitivi una specie di coro greco, che commenta e indirizza, stigmatizza ed esalta. La sorellanza si fa lobby, vincolo contratto in base alla qualità  dell’esprit, all’inequivocabile riconoscimento di razza, padrona almeno in quanto a charme. Le chiacchiere tra donne non sono state più le stesse, dopo Sex and the City, tantomeno le confidenze sugli uomini e sul sesso. Per giudicare la forza germinale di Sex and the City, basterebbe il successo di un film di qualche anno successivo, Il diavolo veste Prada. Apparentemente ossimorico rispetto al tema dell’alleanza femminile, il film interpretato da Meryl Streep non esisterebbe se non facesse agio su un mondo che abbiamo conosciuto e amato, se l’adorazione provata per Carrie Miranda Charlotte e Samantha, non fosse un terreno abbastanza solido da permetterne una sorta di ribaltamento ironico. Poi è arrivata la crisi che insieme ai nostri soldi si è presa quella spensieratezza morale che ci permetteva di guardare nostre coetanee smaramaldeggiare con le carte di credito senza sentirci in colpa o provare un rancore furibondo. 
Le nuove sorelle sono dunque le ragazzine di Girls, laureate e disoccupate, o le Diciassette ragazze protagoniste del film di Delphine e Muriel Coulin, che decidono di farsi mettere incinte tutte insieme, da maschi a caso. Perché si sentono perdute. Sole, annoiate, e non riescono a immaginare niente di bello nella vita che sarebbe venuta. Che sarebbe stata uguale a quella dei genitori: vitadimerda.com, la chiamano. Immaginano allora una comunità  ideale, una casa in comune: tutte femmine, adolescenti, coi loro bambini nati quasi insieme. Nella prima puntata di Girls, Hannah e Marnie, sono in bagno. Marnie ha un asciugamano addosso. Hannah, nuda nella vasca, dice: com’è che tu sei bellissima e io non ti ho mai visto nuda, mentre io sono grassa e tu mi hai visto mille volte? Tu non sei grassa, sei bellissima. In quel momento il fidanzato di Marnie apre la porta. Ops, scusate, pensavo che dentro ci fosse solo la mia fidanzata. Hannah lo guarda: non c’è mai solo la tua fidanzata in questo bagno. Come le scimmie blu del Kenya.


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