Giustizia civile e penale, tetto di sei anni

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ROMA — Per la prima volta il governo tenta di scrivere in una legge che i processi sono tali — cioè equi, e quindi soggetti a giusto indennizzo se sforano i tempi stabiliti — quando durano al massimo sei anni. E non è poco in un Paese come l’Italia che vanta posizioni di bassa classifica nelle graduatorie sull’efficienza della giustizia. Nello schema del decreto legge sullo Sviluppo, che fino a ieri sera non figurava all’ordine del giorno del preconsiglio dei ministri, è prevista anche una norma sulla durata dei processi: «Si considera rispettato il termine ragionevole… se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità ». E dunque, «si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore ai sei anni».
È dunque intenzione del governo porre un limite agli effetti perversi (il 20% del carico) sul sistema delle 26 corti d’appello provocati dai mancati indennizzi previsti dalla legge Pinto. Per questo in un primo momento si è pensato di affidare all’amministrazione periferica il compito di liquidare le somme «determinate sulla base dei criteri già  ormai ben codificati dalla Cassazione» e ora scolpiti nel testo del governo. Sul punto, però, i prefetti si sarebbero messi di traverso costringendo il governo a puntare su un rito accelerato, sommario, affidato sempre al giudice. Il governo tuttavia prevede anche freni per limitare le richieste di indennizzo: nel processo penale, per esempio, sarà  necessario presentare un’apposita istanza di accelerazione se non si vuole perdere il diritto all’indennizzo. Nel processo civile, invece, viene istituito un filtro contro le impugnazioni pretestuose e finalizzate a prendere tempo. 
I minibond 
Sarà  il credito d’imposta riservato a chi s’impegni nella ricerca e nell’innovazione, lo strumento cardine a favore delle imprese nel decreto che riordinerà  600-700 milioni di incentivi, ridistribuendoli con criteri automatici. Nel decreto legge troverebbero spazio alcune novità  sull’internazionalizzazione e la finanza d’impresa. In particolare, le imprese non quotate, medie e piccole potranno emettere titoli di capitale o di debito in presenza di alcuni requisiti: l’assistenza di uno sponsor nell’emissione dei titoli, la certificazione dell’ultimo bilancio e la circolazione dei titoli tra investitori qualificati. 
L’intento è quello di indirizzare una parte del risparmio a lungo termine verso nuove forme d’investimento in modo da aggirare l’attuale stretta creditizia. Per agevolare questi nuovi titoli se ne rendono deducibili gli interessi, inoltre vengono estese alcune esenzioni fiscali proprie delle obbligazioni societarie, così da rendere «neutrale», anche per gli investitori esteri, la scelta tra i vari strumenti di credito. Il mercato potenziale è quello del «quarto capitalismo»: un sistema di 4 mila imprese con fatturato superiore a 10 milioni, le cui emissioni potrebbero aggirarsi sui 20-30 miliardi di euro. 
Il «Piano Città » 
Intanto prende forma anche quello che sarà  il provvedimento sulle Infrastrutture e i Trasporti, alle cure del viceministro Mario Ciaccia, che verrà  esaminato in uno dei prossimi consigli dei ministri. Ieri è stata istituita la Cabina di regia cui, già  da venerdì, i Comuni italiani potranno inviare le proposte di riqualificazione di aree urbane. La cifra a disposizione supera i 2 miliardi, che diventano circa 4 se ai due miliardi della Cassa depositi per l’housing sociale, si aggiungono gli 800 milioni del Mit, i 900 del Miur per le scuole e i 230 per la riqualificazione urbana. A questo ammontare andranno aggiunte le risorse di Regioni, Comuni e privati. L’Anci ha presentato già  una prima selezione di progetti provenienti da città  come Roma (riqualificazione del quartiere di Pietralata), Verona, Piacenza, Firenze, Bari, Napoli, Palermo, che saranno valutati in occasione della prossima riunione della Cabina di Regia. 
La spending review 
Saranno pronti il 12 giugno prossimo i risultati della spending review interna effettuata dai singoli ministeri. Entro lo stesso mese saranno varati tutti gli strumenti operativi per ottenere le riduzioni di spesa programmate, pari ad almeno 4,2 miliardi di euro su un volume di spesa considerata aggredibile di circa 100 miliardi.


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