Il fascino delle scelte sbagliate

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Ora che ha abbandonato la sua scrittura accattivante, e quella effervescenza ironica che lo aveva reso un autore di culto al tempo in cui pubblicò Un giorno questo dolore ti sarà  utile, Peter Cameron ha scritto il suo romanzo migliore, quello meno convenzionale, nonostante l’ambientazione, i ruoli dei personaggi e la struttura stessa dell’intreccio siano del tutto tradizionali. Per la prima volta in un libro di Cameron il ruolo protagonista è assegnato a un personaggio femminile, Coral Glynn, nel cui nome si esaurisce il titolo del libro (traduzione di Giuseppina Oneto, Adelphi, pp. 212, euro 18), benché altri caratteri le contendano lo spazio narrativo. 
Coral Glynn è una infermiera approdata nel mezzo di una piovosa primavera inglese del 1950 a villa Hart, dove per pochi giorni assiste la irascibile padrona di casa, una malata terminale la cui presenza viene solo evocata. Deceduta la signora, Coral se ne va, nonostante abbia nel frattempo accettato la proposta di matrimonio del maggiore Hart, un uomo reso solitario dalla sua indole male assecondata, dal pessimo rapporto con la madre e soprattutto dalla interiorizzazione delle ferite invalidanti, riportate nel corso della guerra. In mezzo, tra la richiesta di matrimonio di Clement Hart e la repentina partenza di Coral Glynn, qualcosa è accaduto che giustificherà  la mancata consumazione del matrimonio, durato un giorno solo: qualcosa che non riguarda la loro relazione, una sorta di modesta congiura degli eventi, malgrado nessun evento sia realmente accaduto. Coral ha visto qualcosa nel bosco e ne ha rimosso le conseguenze possibili, così quando verrà  interrogata negherà  la sua testimonianza, come se questa portasse con sé una colpa commessa. E il maggiore Hart si renderà  anche lui cieco di fronte all’evidenza, permettendo a un uomo che lo ha amato negli anni della giovinezza di determinare il suo futuro. 
Peter Cameron è a Roma, dove stasera leggerà  un suo testo al Festival delle Letterature di Massenzio. Con lui – seduti nel giardino perimetrato dalle vetrate déco dell’Hotel Locarno – parliamo del suo romanzo appena uscito.
Le vicende di Coral Glynn sono raccontate da un narratore solo parzialmente onnisciente, il cui livello di consapevolezza e il raggio del cui sguardo oltrepassano di poco i confini percettivi e la coscienza dei personaggi. Trova che questa sia una prospettiva funzionale a incoraggiare un po’ di senso del mistero? 
Direi di sì. Infatti, il motivo principale per cui mi sono deciso a adottare un narratore in terza persona ma non completamente onnisciente è perché cercavo un equilibrio tra il dire e il non dire, tra il rivelare e l’occultare, procedimento che si è rivelato abbastanza complesso. Desideravo esplicitare alcuni aspetti del carattere dei personaggi ma non tutti, e quindi avevo bisogno di un narratore che avesse una presa sull’animo dei personaggi molto diversa da quella che viene fuori dall’uso della prima persona, una scelta che avevo fatto, per esempio, quando ho raccontato la storia di James, in Un giorno quel dolore ti sarà  utile. Qui, invece, era necessario che la prospettiva abbracciasse un ambito abbastanza largo, e fosse in grado di comprendere anche il mondo interiore dei personaggi che ruotano intorno a Coral Glynn. 
Tutti i personaggi che lei ha fin qui messo in scena sono uomini deboli: James, il protagonista di «Un giorno questo dolore ti sarà  utile» è un ragazzo che tutti considerano disadattato, e che si trova a suo agio solo con la nonna. Omar Rezaghi, il giovane studioso di «Quella sera dorata», viene rimproverato dalla sua ragazza perché è irresoluto e poco coraggioso. E il maggiore Clement Hart, protagonista di questo suo ultimo romanzo, non soltanto è intimidito dalla propria menomazione fisica, ma crede poco in se stesso e pensa che il futuro gli riservi niente altro che una buona dose di sopportazione. È solo per una questione di empatia che lei privilegia questo genere di uomini o crede che, nonostante gli imperativi sociali contemporanei, al romanzo giovi ancora mettere in scena eroi deboli?
Credo di scegliere questo genere di personaggi per una combinazione delle ragioni che lei evoca, e tuttavia non direi di loro che sono uomini deboli. Capisco il suo punto di vista, e sono consapevole del fatto che non sono persone coraggiose, né sicure di sé, però io li vedo piuttosto come uomini disorientati, titubanti, che non sanno bene quale sia il loro posto nel mondo. Non è soltanto come romanziere che preferisco questo genere di personaggi, anche come lettore amo intrattenermi con uomini alla ricerca di qualcosa piuttosto che con personaggi già  realizzati e a proprio agio con se stessi. Ciò che hanno in comune Clement Hart e il giovane James del mio romanzo precedente è il non sapere mai cosa li aspetti: non hanno idea di quale possa essere il loro ruolo nel mondo. E sospetto di preferire questo genere di personaggi perché, nella loro incertezza, mi somigliano: mi ricordano il mio stato confusionale. 
Per la prima volta lei ha assegnato il ruolo di coprotagonista a un uomo già  quasi anziano, la cui figura ricorda molto da vicino il vecchio, affascinante Adam, che compariva in molte pagine di Quella sera dorata. A entrambi, Clement e Adam, lei attribuisce una nobiltà  d’animo per nulla ostentata, e quel disincanto che deriva loro dall’essersi sganciati da ogni aspettativa, non prima di avere rinunciato, sebbene con diversa convinzione, all’oggetto del loro amore omosessuale. Per molti versi le sue descrizioni sembrano rapite dallo charme di questi uomini già  molto avanti nell’età  e nella rassegnazione, anche se i protagonisti più giovani dei suoi romanzi precedenti sembravano stimolare di più la brillantezza dei suoi dialoghi. 
Lo so, ma trovo questi personaggi maturi più comodi, hanno una loro valenza pratica, e una saggezza che mi attira. Clement Hart, tuttavia, non è un personaggio a tutto tondo: per quanto affascinante, dal punto di vista emotivo non è affatto sofisticato, anzi direi che ha una personalità  piuttosto elementare: non capisce bene se stesso né i suoi sentimenti e questo lo mette in una posizione svantaggiata. Adam, invece, e anche la nonna di James che compariva in Un giorno quel dolore, sanno benissimo chi sono, e quale sia il proprio posto nel mondo. Personaggi come loro vanno e vengono dai miei libri, e alcuni si somigliano. È vero, comunque, che nessuno sa esprimere altrettanto bene i propri sentimenti come James, e nessuno di loro ha la sua brillantezza. Ma non mi dispiace, in romanzi diversi è bene differenziare le voci. Muovendomi avanti e indietro tra la prima e la terza persona ho anche notato che consegnare la voce narrante al protagonista mi è più facile che far parlare un narratore, perché mi consente di restare più nascosto. 
Diversamente dagli altri suoi personaggi femminili, alcuni molto determinati e dotati di una certa sicurezza intellettuale, Coral Glynn è una donna modesta, abbastanza primitiva, con poca immaginazione e quasi nulla reattività . Come le è venuta l’idea di costruire, questa volta, un personaggio così? 
Mi è difficile rispondere perché, in realtà , non so mai da dove mi arrivino le idee che stanno dietro ai mei personaggi, immagino che vengano dal mio subconscio. Di certo, non sono il frutto di una scelta deliberata: per esempio, nel caso di quest’ultimo romanzo, solo con il senno di poi riesco a capire perché ho scritto di un personaggio tanto naà¯f come Coral Glynn, che non ha alcuna esperienza del mondo, sempre perplessa di fronte a ciò che le accade, sempre timorosa: mi pare che rappresenti una esagerazione di ciò che io stesso provo nello stare al mondo, è una sorta di esasperazione della mia natura confusa. Ho deciso di descriverla come una giovane orfana, senza un buon livello di istruzione, ma non per questo volevo che apparisse stupida, come so che alcuni lettori la giudicano. In realtà , nel corso del romanzo, Coral acquisisce una saggezza sempre maggiore, insomma fa esperienza della vita e, alla fin fine, prende decisioni abbastanza assennate. Credo che alla base del suo carattere ci sia un grande spavento per quelli che sente potrebbero essere gli effetti del suo comportamento. Per esempio, quando è costretta a separarsi da Hart subito dopo averlo sposato, gli scrive tre lettere alle quali non riceve risposta e non sa pensare ad altro se non che, evidentemente, deve avere sbagliato qualcosa. Perciò smette di scrivergli, ma più avanti i fatti le dimostreranno quanto la sua interpretazione del rapporto con Hart fosse sbagliata. Il punto di svolta del romanzo coincide con la decisione di Coral di affrontare l’uomo che tanti anni prima l’aveva stuprata: va a incontrarlo e gli restituisce l’anello che aveva preso quando lavorava in casa sua, e quell’anello funziona, almeno nelle mie intenzioni, come un simbolo della trasformazione del personaggio, che dice addio al tempo in cui tutti potevano approfittarsi di lei. 
In questo romanzo è come se a determinare i fatti fosse solo il destino, mai la volontà  degli uomini. Si respira un grande senso di abbandono al corso degli eventi, e l’atmosfera di straniamento è incoraggiata dal fatto che i personaggi sembrano incapaci di agire a proprio vantaggio: dunque, le cose non vanno mai per il verso giusto, a cominciare dal matrimonio di Coral con il maggiore Hart. Tutto ciò comporta, nel lettore, un vissuto di sistematica frustrazione, che alimenta il fascino del libro… 
So solo che quanto accade nei miei romanzi e le scelte che fanno i personaggi non sono il frutto di una strategia, bensì del mio procedere per intuito. Di certo, come romanziere, dichiaro la mia predilezione per coloro che si rendono responsabili di scelte sbagliate; ma anche come lettore, preferisco intrattenermi con personaggi che non fanno la cosa giusta, che non hanno certezze. I protagonisti dei miei libri imparano dalla vita, attraverso i loro errori, quegli errori che nel lettore generano frustrazione, perché lui vede più lontano, ne sa più dei personaggi e capisce meglio di loro come potrebbero agire per il meglio. A proposito di strategie mancate, le dirò che inizialmente avevo concepito il romanzo come diviso in due parti, una delle quali aveva come protagonista Coral, mentre l’altra si sarebbe svolta in un luogo imprecisato del Nord, che poteva essere la Finlandia o la Russia; poi però questa parte, di cui leggerò qualche pagina stasera a Massenzio, l’ho svolta autonomamnente, in quello che sarà  il mio prossimo libro.


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