In fuga dall’eterno presente

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Autori come Verne, Wells scrivevano di mondi immaginari, ma tuttavia saldamente radicati nella realtà . Romanzi anticipatori, scrive il filosofo francese Pierre Macherey, di ciò che sarebbe accaduto da lì a poco tempo. Nulla a che vedere con l’Utopia, dove l’altro mondo doveva sovvertire le norme dominanti. Ed è stato così per gran parte del Novecento, con poche eccezione, come quella rappresentata dalla scrittore russo Evgenij Zamjatin, che ha usato la fantascienza per descrivere quella società  migliore che aveva intravisto nella Rivoluzione, sconfitta, russa del 1905 e in quella, vittoriosa, del 1917. 
Il rapporto instabile tra fantascienza e utopia va definitivamente in pezzi negli ultimi venti anni del Novecento. La fantascienza rinuncia espressamente a stabilire legami, canali di comunicazione con il pensiero utopico, per diventare un’analisi dissacrante delle «utopie diventate realtà ». Il bersaglio è un presente che non contemppla nessun futuro che non sia una ripetizione dell’ordine costituito. L’altro mondo, quello possibile, è indicato come via di fuga, sottrazione dalle norme dominanti nella società  dominatna dal dei del mercato e della tecnologia. In questo critica dell’utopia c’è una saggia attitudine al dubbio, a una visione lineare del divenire storico . Al centro c’è il conflitto, irriducibile a sintesi precostituite, tra i molti e il potere ma anche un rischio: la legittimazione di un presente che consente solo una defezione all’insegna di un’etica del buon vivere. Da qui la necessità  di una attitudine che non pensi ad altri mondi paralleli, ma a una impossobile, ma realistica società  futura.


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