Recessione senza luce

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È in recessione da molti mesi e «non vede la luce in fondo al tunnel». I dati dell’analisi congiunturale di Federmeccanica – presentati ieri mattina – sono secchi. Tutte le tendenze negative vengono confermate e per il prossimo futuro, guardando afgli ordinativi, nel migliore dei casi non ci sarà  un ulteriore peggioramento. La produzione nel primo trimestre è caduta di un ulteriore 1,4% rispetto agli ultimi tre mesi del 2011; ma del 3,3 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Peggiorano un po’ tutti i comparti (l’auto, ovviamente, con la Fiat in ritirata dal paese; ma anche i prodotti elettrici, a conferma che la frenata è dovuta soprattutto alla caduta dei consumi interni). E forse è molto più che un curiosità  il fatto che il vero boom riguardi una merce atipica e il commercio con un paese particolare: sono praticamente raddoppiate le esportazioni di oro grezzo verso la Svizzera. Che il cuore della recessione sia nella carenza di domanda nazionale è confermato dal drastico calo delle importazioni (-16,7%), mentre l’export – grazie soprattutto ai paesi europei fuori dalla Ue – hanno sostanzialmente tenuto, con un progresso del 5,3%. Abbiamo così il paradossale risultato che la bilancia dei pagamenti del paese, in questo settore, risulti in grande attivo: 12,7 miliardi, oltre il triplo di un anno fa. Ma c’è davvero poco da gioire… In Europa siamo comunque in pericolosa compagnia. La meccanica tedesca va ancora alla grande, la francese e l’inglese sono stazionarie. A calare sono soprattutto Italia e Spagna, guarda caso i paesi che più hanno dovuto tagliare la spesa pubblica per migliorare il bilancio. È una sottile ironia dell’economia il fatto che la riduzione del «pubblico» diventi immediatamente una riduzione delle commesse del «privato». Dovrebbe far riflettere tanti editorialisti un tanto al chilo… Sia il vicepresidente Roberto Maglione che il diretto generale, Roberto Santarelli, ammettono che «se non c’è un rilancio della domanda a livello europeo, è difficile che i singoli paesi possano riuscirci da soli». Ma se in tutta la Ue si impongono politiche «rigoriste» quel rilancio non ci sarà  mai. Le speranza vengono dunque, anche per le imprese, dal G8 di Chicago, che ha di fatto «isolato» la Merkel. Anche se è presto per parlare di un’inversione di tendenza sulle politiche Ue. Ma il discorso principale si riassume in una battuta condivisa: «di solo rigore si muore». Diciamo che anche qui si ripete il mantra «coniugare il necessario rigore con misure per la crescita». Un ossimoro, in pratica. Ma nessuno ci fa caso, ormai. In attesa delle decisioni europee, e preso atto che sia il governo che i partiti che lo sostengono sembrano «consapevoli» della necessità  di cambaire passo, le imprese vorrebbero almeno tre cose: puntualità  dello Stato nei pagamenti (si calcolano in 70-100 miliardi le somme dovute e non versate per merci e servizi), sbloccare il credito (di nuovo in crunch soprattutto per le piccole aziende) e far ripartire «il volano dell’economia»: infrastrutture (e quindi investimenti in gran parte pubblici), edilizia, ecc. Il nodo, dal loro punto di vista, resta la «competitività »; non solo delle singole aziende, ma del «sistema paese». Partita difficile da giocare se la domanda è in calo (e quindi non favorisce investimenti per ottimizzzare il processo produttivo) e la «tassazione», tra imposte dirette e contributi sociali (il cosiddetto« cuneo fiscale»), è tale da «handicappare pesantemente» i margini. In questo quadro paga pesantemente dazio l’occupazione. A febbraio è stato registrato un calo dell’1,3% rispetto al 2011. Le ore di cassa integrazione, tradotte in unità  lavorative, equivalgono a 185.000 metalmeccanici messi fuori dalla produzione. E per i prossimi sei mesi, visto l’andamento degli ordinativi, «sono attesi ulteriori ridimensionamenti degli organici». Che si tradurranno – è scontato – in una proporzionale «caduta della domanda interna». Ovvero avvitamento, recessione più profonda.


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