Baricco, le ultime notizie sui Barbari “Il cambiamento, dalla musica al web”

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Ecco come: “Vorrei che non avesse più una connotazione di giudizio, ma che indicasse semplicemente una collocazione nello spazio”
«Non è uno spettacolo». Alessandro Baricco lo ripete più volte. Ultime indiscrezioni sui barbariche questa sera alle 21 in piazza Santo Stefano inaugura a Bologna la Repubblica delle idee sarà  una «conversazione», dice. «Dove mostrerò video e farò ascoltare musica, soffermandomi su un particolare aspetto della mutazione che stiamo vivendo». Mutazione che lo scrittore ha cominciato a raccontare proprio sulle pagine di Repubblica nel 2006, in una serie di articoli poi confluiti in un libro: I Barbari, appunto. Ma attenzione: l’autore non usa il termine in senso negativo. I barbari di Baricco sono «mutanti che respirano con le branchie di Google», attori di una nuova cultura occidentale che sta smantellando «tutto l’armamentario mentale ereditato dalla cultura ottocentesca, romantica e borghese», dove la velocità  ha sostituito la riflessione, il multitasking la specializzazione e la superficialità , intesa come un modo diverso di vedere il mondo, ha soppiantato la profondità . Baricco, quale aspetto della “mutazione” racconterà  stasera? «Un aspetto che quando ho iniziato a scrivere I Barbari non avevo ancora capito, l’annientamento delle mediazioni: dal biglietto comprato direttamente su Internet alla crisi delle case editrici che mettono in relazione autori e lettori e che rischiano di sparire. Mostrerò diversi esempi».
Che tipo di musica farà  ascoltare al pubblico? «Classica del Seicento e dell’Ottocento. E solleverò il problema se abbia un senso ascoltarla ancora o meno. Ma cercherò di capire anche se il modo in cui conserviamo la musica oggi sia quello giusto».
Il sottotitolo del festival è “Scrivere il futuro”. Cosa significa per lei? «Pensare il futuro per me è la cosa
più importante. Decifrarne gli scenari è una passione. Però non si scrive il futuro ricopiando il passato o salvaguardandolo troppo.
Raccogliere l’eredità , per carità , è importante. Ma non scrivi nessuna pagina di futuro senza bruciarne almeno
un’altra di passato. Ecco, questo è un limite che molta parte del nostro Paese non riesce a superare. Lo è anche per la sinistra. Bisogna smuovere quell’Italia lì e rotolare verso il futuro».
Ci sarà  I Barbari II? «No, non scriverò mai un saggio così. Farò di tanto in tanto delle incursioni sulla scia dei Barbari come questa di Bologna e come ho fatto nel 2010 con un articolo per Wired. È un cammino che continuo a condividere con
Repubblica, figlio di quella prima esperienza del 2006: il saggio a puntate sul giornale non si era mai visto. C’era questo tratto “live” di riflessione al momento che risultava un po’ televisivo. È stato come scrivere un libro da dentro una scatola di vetro, senza categorie o definizioni a cui appartenere. Descrivevo una mutazione che rendeva possibile il fatto stesso che io la raccontassi così. E il lettore poteva scegliere cosa leggere: se un articolo solo, tutti, o qualcuno ogni tanto. Era molto “barbarico” anche
questo aspetto qui». C’è una parola da riscoprire per il futuro? «Vorrei che “superficiale” diventasse un aggettivo non più con una connotazione di giudizio, ma che indicasse semplicemente una collocazione nello spazio».
E una parola da bandire? «“Profondo”. Spero resti solo come avverbio: “profondamente”. Come ho già  scritto, nel 2026 guarderemo alla “profondità ” nello stesso modo in cui oggi guardiamo alla categoria di “spirito”, inteso nell’accezione romantica dell’Ottocento».


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