Diario di viaggio in versi tra crolli e dissolvenze

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È da qui che parte la seconda raccolta poetica di Mario De Santis, giornalista radiofonico e collaboratore del mensile «Poesia», dopo Le ore impossibili (Empiria 2007): La polvere nell’acqua (Crocetti 2012, pp. 72, euro 10). 
E se la polvere è l’io diffuso, pronto a cedersi al mondo – «Tutto è una perla che si scioglie/un vapore di catrame nei polmoni» – l’acqua è il mondo esterno. Un mondo che – nelle «location» meticolosamente annotate lungo dieci anni di scrittura quali fondale del verso (d’occasione?) – si trasporta come fiume in mare dal familiare all’esotico: da un mondo vicino, europeo e quotidiano (Roma, Milano, Rocca di Mezzo, Castiglione delle Stiviere, Napoli, Barcellona, Lisbona, la Camargue, passando per la Genova dei «fatti di Genova» del 2001, mancati per un soffio e rimasti come perduranti, insanguinate presenze in un teatro a cielo aperto), fino a un Medio Oriente lontano e martoriato – Gerusalemme, Tel Aviv, Bam in Iran rasa al suolo dal terremoto del 2003 – che impercettibilmente e metonimicamente sovrappone e confonde i piani di esperienza vissuta, per così dire, di prima mano ed esperienza filmicamente mediata e visivamente appresa.
Esperienza a sua volta destinata a incistarsi come ultimissima ratio, nella sequenza che non a caso si intitola Last Minute, nella coscienza di chi guarda, che da questo guardare si ritrova inesorabilmente coinvolto, mentre anche la tragedia televisiva rimanda a un – non a caso – palinsesto di stratificazione di memorie visive più antiche, di cronaca o di fiction, come il ricordo del Deserto dei tartari di Valerio Zurlini (1976), trasposizione cinematografica del romanzo di Dino Buzzati, che si sottende come memoria anteriore alle immagini viste in televisione del sisma di Bam. «La città  del terremoto adesso/riappare solo in sogno blu, come fortezza di anni amari./ Così la verità  del presente ci arriva col rumore/delle gru, con il ronzio di luci fotoelettriche./La scena salva di questa terra, per sempre oltre confine,/è due volte niente, due volte allontanata,/brilla di fuoco e di segnali, di spade nella notte e di finzioni,/degli unici riflessi in cui mi riconosco».
Dopo averci ricordato che la polvere «è nella tradizione artistica di tutto il Novecento, da Duchamp a Parmiggiani fino all’uomo di cenere di Zhang Huan e all’artista venezuelana Antonieta Sosa, che ha raccolto polvere nella sua casa per dieci anni», scrive De Santis, in nota di chiusura, «pensavo di aver accumulato in qualche anno di spostamenti solo poesie di paesaggi, come diario di un viaggio e registri di variazioni interiori, spettri di amore, fughe, claustrofobie. In realtà  mi accorgo che c’è solo, dappertutto, una lotta con e senza Dio, polvere ingannevole, nascosta tra crolli, distruzioni, dissolvenze, bombardamenti, attentati e terremoti, battaglie di città , case decrepite, periferie». Non è un caso che distruzione e dissolvenza, come in un ipnotico bagliore blu televisivo, appaiano qui insieme.


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