L’ultimatum di Monti alla Merkel “Cedi qualcosa o il mio governo rischia”

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È questo il messaggio che il Professore ha intenzione di recapitare alla Cancelliera di ferro nell’attesissima quadrilaterale di Roma. Dove Monti sulla necessità  di approvare un vero piano contro la crisi nel Consiglio europeo in calendario tra sette giorni sarà  sostenuto dal presidente francese Hollande e dal premier spagnolo Rajoy. Monti sa di giocarsi molto da qui a venerdì prossimo. E la tappa di oggi è fondamentale. Le fibrillazioni della maggioranza, le tentazioni del Pdl di staccare la spina al governo usando proprio l’Europa come capro espiatorio vengono prese molto sul serio. Con lo staff del premier che si agita di fronte a un paradosso: con ogni probabilità  da Bruxelles l’Italia tornerà  con una serie di successi inimmaginabili solo sei mesi fa. Ma potrebbero non bastare. «A me non interessa vincere in Italia – ripete da giorni – ma vincere per l’Italia».
Basta scorrere la bozza di conclusioni del summit europeo. Contiene quasi tutte le richieste che Monti, con il ministro Moavero, ha proposto e negoziato dall’arrivo a Palazzo Chigi. Un nuovo impulso al mercato unico per spingere la crescita, lo scorporo degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit (Golden Rule). E ancora, l’esperimento dei Project Bond e l’aumento di
capitale che permetterebbe alla Banca europea per gli investimenti (Bei) di finanziare progetti fino a 80 miliardi. Così come si inizierà  a parlare seriamente di Eurobond. «Non per l’immediato – ammettono i collaboratori di Monti – ma per il medio periodo». Il che, giurano, va benissimo. Perché il premier «condivide» l’approccio della Merkel per il quale prima si deve andare avanti nell’integrazione
politica, ovvero dare a Bruxelles più poteri sui bilanci nazionali, e poi procedere alle obbligazioni comuni. A questo si aggiunga che prenderà  forma anche l’Unione bancaria proposta da Barroso.
Da un lato Monti lavora perché questo pacchetto alla fine arrivi davvero: «Anche se è nella bozza di conclusioni, non bisogna darlo per scontato», ripete ai suoi
conscio delle sacche di resistenza dei nordici (Germania, Olanda e Finlandia in testa). E comunque bisogna far sì che le singole misure siano concretizzate al meglio. Sarebbe un successo? Forse no. Tutto questo potrebbe non bastare a placare definitivamente i mercati. E potrebbe non bastare a disinnescare i falchi berlusconiani. Ecco perché oggi Monti dirà  alla Merkel che «se non ottengo qualcosa di forte non sono in grado di reggere».
Serve dunque un piano costruito in modo da produrre un’onda d’urto dirompente. Al quale aggiungere il colpo finale. Una pallottola d’argento. Se gli Eurobond non sono per oggi, tra le idee più gettonate, c’è lo scudo anti-spread ideato dal governo italiano, sostenuto da Parigi e Madrid, ma bocciato da Bruxelles e Berlino. I dettagli della proposta non sono ancora stati elaborati (potrebbe essere la Bce a intervenire per abbassare i tassi di un Paese sotto attacco o il fondo salva- Stati), ma l’approccio con cui porre la questione alla Merkel sì: «Non è una misura per l’Italia, ma per l’Europa. Anche altri Paesi pagano tassi ingiustificati perché nell’eurozona c’è qualcosa che non funziona». Insomma, la Germania non può restare arroccata sulla posizione secondo cui per ottenere un intervento sugli spread un Paese debba finire sotto un programma di salvataggio come quello, disastroso, imposto alla Grecia. Proprio Atene è un altro punto di scontro. La vittoria dei partiti pro-euro ha evitato la catastrofe che avrebbe trascinato nel baratro anche l’Italia. Me per Roma bisogna comunque dare ossigeno ad Atene, altrimenti la bomba ellenica tornerà  a rischio deflagrazione. Vanificando qualsiasi eventuale successo del vertice di Bruxelles.


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