Meno articolo 18, più precari

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La riforma Fornero del lavoro – quella che smantella l’articolo 18 – è passata ieri definitivamente al Senato, dopo che sono arrivati gli ultimi due sì alle complessive quattro fiducie poste dal governo, e l’ok all’intero testo con 231 voti favorevoli, 33 contrari e 9 astenuti. La ministra del Welfare ha espresso soddisfazione, così come il primo ministro Mario Monti e la «santa» alleanza Pd-Pdl. Il premier ha spiegato che si tratta di «una riforma di profonda struttura che ha ricevuto il parere favorevole di organismi internazionali imparziali come Ue, Ocse, Fmi». Alla domanda se l’iter parlamentare sarà  blindato alla Camera, con una fiducia così come è stato a Palazzo Madama, Monti ha risposto: «A noi interessa il buon esito della riforma». Sostanzialmente, non ha negato. 
Entusiasta il giudizio di Anna Finocchiaro, per il Pd: «È stata raggiunta una sintesi razionale, laica e direi, se non fosse una sgrammaticatura, costituzionale e riformista della regolamentazione del mercato del lavoro e penso che sarà  utile all’Italia». Più cauto Maurizio Gasparri, del Pdl: «Non è la nostra legge, non è quella che avremmo voluto fare, ma l’abbiamo migliorata». Gasparri si riferisce alle lunghe polemiche sulla «flessibilità  in entrata» portate avanti dalla Confindustria, che desiderava meno lacci possibili. Inoltre, il neopresidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, si era lamentato dell’ancora troppo ampia (a parere suo) discrezionalità  lasciata ai giudici sul nodo dei licenziamenti.
Diversa l’atmosfera dentro la Cgil. Al sindacato guidato da Susanna Camusso la riforma non piace, e ancor meno è piaciuto che il governo abbia posto la fiducia. Dalla sinistra della segreteria viene dunque la richiesta di sciopero generale: è Nicola Nicolosi a chiederlo, denunciando che l’uso della fiducia è una «chiara sospensione della democrazia nel nostro Paese». Opinione non certo condivisa da tutto l’esecutivo che si stringe intorno a Camusso, tanto che per ora la segretaria ha dribblato il problema, in vista della riunione dei vertici Cgil prevista per lunedì: «La riforma – ha spiegato – è esattamente ciò che non serve al lavoro. La mobilitazione della Cgil continua. Sullo sciopero, invece vedremo. Decideremo quando e come continuare». 
Un altro segretario Cgil, Danilo Barbi, rincara e chiede che il Parlamento sospenda l’iter del ddl (la settimana prossima dovrebbe approdare alla Camera): «Quel testo è un pasticcio inestricabile – dice – Non c’è una riduzione reale delle forme di precarietà , e solo l’opposizione della Cgil ha permesso di non aprire la strada totalmente ai licenziamenti facili. Con questa riforma si aprirà  un contenzioso legale infinito, e nel combinato disposto con le riforma delle pensioni permetterà  alle imprese di ricorrere a una valanga di espulsioni dai luoghi di lavoro. Avremo una moltiplicazione biblica degli esodati». 
Passando al contenuto del ddl, alcuni punti, come ad esempio i contratti flessibili, sono notevolmente peggiorati rispetto alle stesure precedenti: La durata del primo contratto a termine che può essere stipulato senza che siano specificati i requisiti per i quali viene richiesto (cioè la causale), sarà  addirittura di un anno. Per i cocoprò si prevede una definizione più stringente del progetto, con la limitazione a mansioni non meramente esecutive o ripetitive e aumento dell’aliquota contributiva di un punto l’anno fino a raggiungere nel 2018 il 33% previsto per il lavoro dipendente. Lo stipendio minimo dovrà  poi fare riferimento ai contratti nazionali. Si rafforza l’attuale una tantum-ammortizzatore per i parasubordinati, innalzandone l’entità . 
Per le partite Iva, si prevede che la durata di collaborazione non deve superare 8 mesi (erano 6 nel ddl originario); il corrispettivo pagato non deve essere superiore dell’80% di quello di dipendenti e cococò (75% nel ddl); il lavoratore non deve avere una postazione «fissa» in azienda: non si può avere una scrivania, insomma, ma il telefono sì. Le partite Iva che hanno un reddito annuo lordo di almeno 18 mila euro sono considerate vere (punto contestatissimo dalla Cgil, che vorrebbe vedere triplicato quel valore-soglia). 
Per attivare il job on call (lavoro a chiamata) basterà  inviare un sms alla Direzione provinciale del lavoro. In caso di mancato avviso, l’azienda rischia da 400 a 2400 euro di multa. Il job on call sarà  autorizzato liberamente per lavoratori under 25 e over 55.


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