Nella freccia del tempo un fallace ologramma

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Il quattordicesimo capitolo di Dall’eternità  a qui. La ricerca della teoria ultima del tempo di Sean Carroll (traduzione di Franco Ligabue, Adelphi, pp. 486, euro 34) si intitola Inflazione e multiverso. e porta come epigrafe una affermazione di Stephen Toulmin: «Chi pensa che la metafisica sia la più libera e speculativa delle discipline è male informato: in confronto alla cosmologia, la metafisica è banale e priva di fantasia». E più avanti Carroll ammette che «le nostre attuali idee sulla gravità  quantistica, sul multiverso e su quanto accaduto prima del big bang sono ancora molto speculative». 
È proprio così. Questo denso volume conferma la natura veramente «metafisica» della ricerca fisica oggi più avanzata. Nessuna possibilità  di falsificazione, infatti, si dà  a proposito di teorie, ipotesi, scenari che vanno dalla struttura quantistica del microcosmo ai multiversi dei quali il nostro universo sarebbe solo una parte, una bolla, un campo. La differenza con la «metafisica più libera e speculativa» sta nell’apparato matematico con il quale tali teorie vengono costruite e da cui vengono sostenute. Non è poco, certo, ma per il resto si tratta di pura – e spesso cattiva – filosofia.
Le domande alle quali Carroll intende rispondere sono numerose e si possono sintetizzare in due quesiti principali: perché l’ipotesi del big bang postula uno stato iniziale di bassa entropia? Perché le leggi fisiche descrivono un mondo reversibile, indifferente alla direzione temporale, mentre per la nostra esperienza il tempo è un elemento fondamentale?
La risposta unitaria a tali questioni è che «la spiegazione ultima della freccia del tempo, così come si manifesta nelle nostre cucine, laboratori e ricordi, dipende in maniera cruciale dalla bassa entropia dell’universo primordiale». L’entropia è la misura del grado di disordine di un oggetto o di un insieme di oggetti. La seconda legge della termodinamica afferma che tale grado in un sistema chiuso può rimanere stabile o aumentare ma non può mai diminuire per un motivo piuttosto semplice: sono molto più numerosi, e quindi probabili, i modi di essere disordinati rispetto a quelli ordinati. E pertanto una configurazione che sia già  ordinata tenderà  inevitabilmente a modificarsi in direzione del disordine. Esempi classici: il bicchiere che cadendo va in frantumi non si ricomporrà , latte e caffè mescolati non si separeranno, noi ricordiamo il passato ma non il futuro.
Se non è possibile scendere sotto un certo grado di entropia – quello corrispondente allo zero assoluto – sembra non esista alcun limite alla sua crescita. La spiegazione del grado molto basso di entropia dell’universo alle sue origini sarebbe legata al fatto che «il big bang non fu l’inizio dell’universo … ma solo una fase attraversata dall’universo, o per lo meno dalla nostra porzione di universo». È su questo punto che macrocosmo e microcosmo, relatività  e fisica dei quanti dovrebbero convergere. Ciò che chiamiamo big bang sarebbe una fase inflattiva generatasi da campi quantistici, sviluppatasi poi in materia e radiazione e destinata al dissolvimento in un vuoto assoluto: «Anche se abbiamo un passato caratterizzato da un clamoroso big bang, il futuro è un’eternità  ultrafredda con una temperatura che però non scende mai a zero». In base al teorema di ricorrenza di Poincaré, da quest’eternità  potrà  scaturire un nuovo inizio – almeno un nuovo universo locale dove tutti gli stati precedenti si ripresenterebbero pur se in tempi per noi inconcepibili, i tempi dell’infinito – dando in certo modo ragione all’idea nietzscheana di eterno ritorno.
Buchi neri, gravità  ed entropia contribuiscono a spiegare la freccia del tempo. Infatti, mentre le leggi della meccanica newtoniana e einsteiniana sono indifferenti alla direzione temporale – valgono allo stesso modo per il passato e per il futuro-, «se diamo credito alla meccanica quantistica, sembra che le leggi microscopiche della fisica non siano necessariamente reversibili. Il collasso della funzione d’onda è un processo che introduce un’intrinseca freccia del tempo nelle leggi della fisica: le funzioni d’onda collassano, ma non de-collassano»; in altri termini, «la misura quantistica è un processo che definisce una freccia del tempo: una volta fatta la misura, non si può tornare indietro. E questo è un mistero».
Contro il demone di Laplace, che conoscendo posizione e velocità  di ogni particella conoscerebbe il futuro in ogni suo più dettagliato accadere, termodinamica e principio di indeterminazione introdurrebbero una costitutiva casualità  nella materia e nel cosmo. Una casualità  che sarebbe però da intendere non come indeterminismo – e tanto meno come arbitrio – ma come struttura temporale intrinseca alla materia. Una struttura fatta di eventi e cioè di punti dello spazio individuati in modo unico a un certo istante di tempo, il cui insieme è l’universo quadridimensionale. In esso degli organismi consapevoli sentono pulsare dentro e intorno a se stessi la freccia del tempo. E «questo avviene perché ci sono processi periodici all’interno del nostro metabolismo – il respiro, il battito del cuore, impulsi elettrici, ritmi del sistema nervoso centrale. Siamo un complicato sistema di orologi interconnessi. I nostri ritmi interni non sono affidabili come quelli di un pendolo o di un cristallo di quarzo: possono essere influenzati dalle condizioni esterne o dal nostro stato emotivo, e di conseguenza abbiamo l’impressione che il tempo stia passando più velocemente o più lentamente. Ma gli orologi realmente affidabili che ticchettano nel nostro corpo – molecole vibranti, particolari reazioni chimiche – non stanno marciando più o meno velocemente del solito».
Da tutto questo sembrerebbe che il tempo sia non soltanto reale ma che costituisca la struttura stessa della materia. E invece Carroll – come moltissimi altri fisici – ritiene che una spiegazione ordinata e razionale del cosmo debba essere atemporale. Per questo abbraccia con interesse l’ipotesi dell’universo olografico, per la quale lo spazio-tempo non è fondamentale; ritiene che l’affermazione secondo cui un processo fisico è irreversibile significhi semplicemente che «non sappiamo ricostruire il passato a partire dalla conoscenza dello stato presente»; crede che il tempo sia «un’approssimazione utile in alcuni casi, compreso il nostro universo, ma priva di un significato fondamentale. È una possibilità  perfettamente legittima. La lezione del principio olografico, unita alla sensazione generale che gli ingredienti di base di una teoria quantistica possono apparire molto diversi da ciò che si manifesta nel regime classico, rendono ragionevole immaginare che il tempo possa essere un fenomeno emergente anziché una parte necessaria della descrizione ultima del mondo». 
Le concezioni presentiste (solo il presente è reale), eternaliste (presente, passato e futuro lo sono tutti e tre), possibiliste (passato e presente esistono ma non – ancora – il futuro), sono secondo Carroll tutte inficiate da una sorta di «sciovinismo temporale» dal quale bisognerebbe liberarsi: «Le spiegazioni che cerchiamo devono essere in ultima analisi atemporali».
Le singole particelle che compongono la materia sono temporalmente indistinguibili e sarebbe questo il livello davvero costitutivo. Il tempo sarebbe invece soltanto un modo per spiegare con comodità  i fenomeni macroscopici, che a loro volta sono comunque «solo un minuscolo sottoinsieme di ciò che in realtà  esiste». Qualunque fenomeno sia il tempo, esso non costituisce comunque un insieme di elementi discreti e separati ma è «un continuo (che) scorre da un istante all’altro passando attraverso tutti i possibili istanti intermedi». Il flusso entropico della materia ha come sua meta finale il niente. La vita sarebbe, suggerisce Schrà¶dinger, un modo per «ritardare la tendenza naturale all’equilibrio con l’ambiente circostante», e cioè un modo per rallentare il crescere dell’entropia. Non a caso gli organismi più complessi sono anche i meno efficienti nell’uso dell’energia, gli elementi più ricchi sono anche i più fragili. Come afferma Nietzsche, la raffinatezza coincide con la caducità ; dove la materia è strutturata in modo più elementare, crescono anche le possibilità  di durata.
In ogni caso gli umani sono dei «minuscoli epifenomeni sviluppatisi per un breve istante sull’onda di un’entropia crescente che va dal big bang al calmo nulla dell’universo futuro». L’invito conclusivo – «È tempo di capire qual è il nostro posto nell’eternità » – coincide di fatto con un invito a capire non la potenza del tempo che noi stessi siamo ma l’immobilità  dalla quale proveniamo e in cui torniamo. Quello di Carroll è dunque soltanto un altro «tentativo di annullare il tempo», come i tre analizzati da Elvio Fachinelli nel suo magnifico La freccia ferma.


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