Quattro passi nel nostro futuro con il gambero di Umberto Eco

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Nell’autunno del 1981 Umberto Eco era nel pieno della sua mezza età . Non tanto perché andava per i cinquant’anni, li avrebbe compiuti nel gennaio successivo, quanto perché aveva appena saltato il fosso che (come mi pare di vedere ora, quando io ho l’età  che aveva lui allora) avrebbe poi continuato a demarcare la separazione fra il suo passato e il suo futuro.
Arrivata al 1980-’81 la sua impossibile autobiografia avrebbe un foglio bianco e poi l’occhiello: «Seconda parte».
Eco era già  molto noto come semiologo, commentatore, romanziere, editor, parodista, joyceologo, polemista, teorico dell’avanguardia, instancabile cosmopolita, pioniere degli studi delle comunicazioni di massa (tutti hobbies, rispetto al suo vero mestiere di professore universitario, a Bologna). In quel periodo era uscito Il nome della rosa, che aveva vinto lo Strega, veniva tradotto in tutte le lingue, e chiaramente non risultava un best-seller come tutti gli altri. Ora Eco diventava una star della cultura internazionale. Cosa sarebbe cambiato, per lui?
Essendo a un festival intitolato Scrivere il futuro, potrebbe anche venire in mente che prima di quella linea di demarcazione Eco vivesse nel futuro mentre, dopo, si sarebbe invece installato nel passato.
Prima: cataloghi di invenzioni per Bompiani, comunicazioni di massa, fumetti, James Bond, teoria dell’informazione, entropia, avanguardia letteraria, artistica, musicale, opere aperte, nuove discipline; dopo: storia della semiotica, romanzi storici, musica barocca al flauto traverso e Aldus Club con i suoi correligionari in bibliofilia. Ma è un’immagine fortemente ingannevole perché da sempre, in Eco, passato e futuro sono come strumenti ottici puntati l’uno verso l’altro. Dai loro rispettivi secoli si scrutano Joyce e Tommaso d’Aquino, il Novecento tardo non fa che perfezionare sempre rinnovati «Progetti alternativi di
Medioevo», mentre le astronavi da guerra di Stelle e stellette sono governate dal generale Giansaverio Rebaudengo, capo di stato maggiore intergalattico di schiettissimo dna sabaudo.
Nella bibliografia di Eco si incontrano continuamente titoli come Il futuro del passato, Il medioevo è già  cominciato
sino al recente A passo di gambero, in cui Eco registra il ritorno alle guerre calde e la deviazione populista e antidemocratica nella pratica dei massmedia e inscrive i due fenomeni in una tendenza generale, che riguarda anche la tecnologia: il ritorno del futuro sul passato, i treni più veloci degli aerei, Internet e la tv via cavo come telefoni con i fili, l’iPod come mera scatola sonora.
Per dirla in enigmistica, un’umanità  bifronte, che segue un’idea ma poi la rovescia e torna ai tempi degli
aedi. A passo di gambero, appunto. Ma il gambero lo sa, di andare al contrario? E poi a ritroso rispetto a cosa? Ecco allora che viene voglia di parlare con Eco di quello strano animale che è il «gambero di Buridano», indeciso se andare avanti e indietro e anzi incapace di stabilire se stia procedendo o arretrando. Non è il mitico Ercole al bivio. Qui il gambero stesso, è il bivio, perché è lui che deve decidere dove stia il piacere, dove la virtù, o almeno dove sia l’avanti e dove il dietro.
Abbiamo scelto di procedere tramite una piccola antologia di testi di diversa provenienza – citazioni, aforismi, giochi, poesie – da commentare assieme per cercare di fornire al povero gambero punti di riferimento su cui orizzontarsi in merito a temi non solo di Cultura ma anche di Natura: la parola, il labirinto, la felicità , il dono, la reputazione, la tecnica, la scuola, il gioco… A Bologna, ancora una volta, nei nostri eterni ed eternamente cangianti medioevi, e mezze età .


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