Atene, taglio del debito in mano ai governi e chiesti nuovi sacrifici per 300 milioni

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ATENE â€” Per restituire interamente il debito che pesa sulla sua testa, ciascuno degli undici milioni di greci dovrebbe pagare 300 euro al mese per dieci anni. Ma 300 euro è l’indennità  mensile di disoccupazione, quella che percepiscono i 200 mila disoccupati più fortunati del paese. Gli altri 800 mila rimangono senza alcun sussidio. Dunque è necessario trovare una strada alternativa per saldare i conti con l’Europa. Di questa strada ha cominciato a parlare ieri la Troika con i ministri del governo Samaras mentre tra le ipotesi allo studio c’è l’abbattimento del 70 per cento del valore dei titoli di Stato di Atene in mano ai governi europei e alla Bce. Un taglio consistente che avrebbe il vantaggio di ridurre l’esposizione greca senza prelevare altro denaro dalle tasche dei Paesi più ricchi. Soluzione che potrebbe tranquillizzare la Germania, di gran lunga meno esposta della Francia con i titoli pubblici greci.
Quel che é certo é che l’accordo con l’Europa va rinegoziato. Di questo parlerà  la Troika questa mattina con il ministro delle finanze, Yoannis Stroumadis. Ieri mattina, lasciando una riunione del governo in Airodi Antipa, la Downing street di Atene, il ministro della sanità , Andreas Lykourenzos ha parlato di «un taglio di 300 milioni alla spesa pubblica da effettuare entro l’anno». Una richiesta molto pesante da parte della Troika, sulla quale si starebbe negoziando in queste ore. Quaranta milioni potrebbero
arrivare dall’abolizione, annunciata ieri mattina, di una serie di enti considerati inutili dal nuovo esecutivo: «In questo modo — ha garantito una fonte del governo — cambierebbero le funzioni di oltre 5.000 dipendenti pubblici, senza che nessuno perda il posto di lavoro». Una spending review soft. Ammorbidire, smussare le richieste di rigore che arrivano dalla Troika e da Bruxelles è la parola d’ordine della trattativa di fatto già  in corso. «Il problema principale è il tempo», spiega Georgis Dassis, ex
sindacalista del Gse (una delle principali organizzazioni greche) oggi presidente del gruppo lavoratori del Comitato economico e sociale di Bruxelles. «Il fatto è che se dobbiamo ridurre di 150 mila persone l’organico dei dipendenti pubblici è molto diverso sapere che possiamo farlo in cinque anni o che ne abbiamo solo due a disposizione », spiega Dassis. «Nel primo caso possiamo risolvere il problema con prepensionamenti e blocco delle assunzioni, nel secondo si sarebbe costretti a licenziare».
Si tratta sul tempo anche perché il settore pubblico è rimasto l’ultima risorsa per distribuire ricchezza alle famiglie greche. «Abbiamo un milione di disoccupati — spiega Dassis — e arrivano tutti dalle ristrutturazioni decise dall’industria privata». Una cifra molto grande se si pensa che i lavoratori
attivi in Grecia sono circa 4 milioni. In queste condizioni, di fronte a ulteriori drastici tagli decisi dall’Ue per spingere il Paese a rientrare nel debito, non converrebbe il ritorno alla dracma, come sostiene una parte della sinistra? «È un discorso che non capisco — dice il sindacalista — perché il ritorno alla dracma aumenterebbe le distanze tra ricchi e poveri. I primi hanno già  portato all’estero il loro denaro, mentre con il ritorno alla dracma lavoratori salariati e pensionati vedrebbero dimezzare in un solo giorno il loro potere d’acquisto». Questo è precisamente lo scenario che le trattative con la Troika stanno cercando di scongiurare. E che si possa trovare una nuova intesa lo dimostra l’arrivo ad Atene oggi del presidente della Commissione Ue, Manuel Barroso, che incontrerà  il premier Samaras. Domani la due giorni più delicata si concluderà  con il faccia a faccia tra Samaras e la stessa Troika. Poi un mese di attesa e il verdetto, «non prima di settembre », ha detto il portavoce dell’Ue.


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