Chi dirige Repubblica.it?

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L’Italia, il paese delle cricche. Ѐ passato qualche anno ormai dal libro di Sergio Rizzo, che consigliava a tutti di considerare il termine (edulcorato nel più distinto “casta”) con uno sguardo dal basso verso alto, rivolto alle istituzioni e i palazzi del potere. Nell’attuale contesto politico, sventrato da anni di faida senza costrutto tra berluscones e antiberlusconiani, il concetto di cricca ha trovato spazio nei meandri della società , permettendo a molti di avvalersi di giochi corporativi degni di una lotta tra clan. La stampa non si esime certo da questo circo, ciò che sorprende sono i metodi innovativi con cui nuove realtà  sono emerse negli ultimi anni, contribuendo ad alimentare dal basso istinti profondamente antidemocratici.

Prendiamo l’esempio del Festival Internazionale del Giornalismo, perugina manifestazione dell’autoreferenzialità  fondata dalla blogger Arianna Ciccone, e giunta ormai alla sesta edizione. Un festival, quello di Perugia, “per molti ma non per tutti”: una rassegna annuale che raccoglie giornalisti e blogger sapientemente estratti da una determinata area, e rigorosamente selezionati su invito della padrona di casa e del suo entourage. Insomma, una festa privata travestita da Festival, un ricevimento che ha tutto fuorché respiro ampio e senza confini. Come accade al ricevimento mondano a casa della contessa, a cui tutti partecipano per fregiarsi di visibilità  più che per reale affetto nei confronti della padrona di casa, così accade che chi gestisce questa rassegna finisca per avere un fortissimo ascendente sulla stampa di una certa fetta di mercato editoriale, ossia tutto quello che gravita attorno all’universo fatiscente dell’informazione antiberlusconiana. Per dare contorni specifici al teorema, prendiamo un esempio concreto:  in data 27 giugno, Arianna Ciccone è riuscita a far rimuovere una photogallery pubblicata su Repubblica e dedicata ai politici in vacanza. Queste le motivazioni e il riassunto della stessa Ciccone, attraverso la propria pagina facebook:

«Oggi ho criticato la scelta de la Repubblica (anche per i commenti che inevitabilmente si sono scatenati) di montare foto di politici in vacanza accompagnando questa gallery alla frase infelice di Cicchitto con il titolo ‘Quando l’Onorevole va in vacanza’. Dopo una discussione con Giuseppe Smorto su twitter Repubblica ha deciso di togliere la gallery sul sito e qui su Fb. Ecco voglio ringraziarli pubblicamente e non solo per aver rimosso la gallery (tra l’altro questo spiega perché è sparita la discussione sul mio diario :D ) ma soprattutto per aver risposto, essersi messi in discussione e aver accettato confronto e critica (non lo fanno tutti purtroppo, anzi è evento rarissimo)».

Ora, mettendo da parte soltanto per un attimo la questione sul reale o presunto problema nel voler pubblicare foto di politici in vacanza (in Italia è questione innocua e di tradizione cinquantenaria), l’aspetto decisamente inquietante è che un quotidiano a diffusione nazionale stia sotto lo schiaffo della personale opinione di un’Arianna Ciccone qualunque. Il rincaro della dose è oltremodo rappresentato dalla chiave utilizzata per far passare la questione, come se la richiesta fosse partita da un rigurgito popolar-web, e non dalle bizze di una blogger star, madrina di passerelle mondane. Il messaggio che passa è quello di una convenevole riverenza reciproca, fingendo (male) di appellarsi ai principi democratici e alla bontà  della società  civile che si indigna. Su questa stessa falsa riga si può ricordare come,  pochi giorni prima, il direttore de l’Espresso Bruno Manfellotto non lesinò  pubblici ringraziamenti nei confronti della strenua difesa innescata dalla blogger sulle critiche all’articolo uscito sul settimanale di De Benedetti, inneggiante ad un presunto intrigo tra Berlusconi e Renzi.  Così Manfellotto, in data 21 giugno, sul suo profilo social:

«E che avrei dovuto fare, caro Renzi? “Signorilmente” far finta di niente, ignorare, cestinare, censurare? Lascio la parola ad Arianna Ciccone che su Facebook ha scritto: “Quindi io ho un documento segreto commissionato da Berlusconi al suo staff (Renzi for president), lo pubblico e tu Renzi ti incazzi con me, accusandomi di essere ridicolo e spacciatore di dossier? Che immensa trollata. Cmq fa un sacco caldo”. Grazie, Arianna.»

Siamo dunque di fronte ad una specie di eroina che traina una grande fetta di opinione pubblica tramite inviti con ceralaccaal suo personale ricevimento, spacciato come Festival Internazionale. A questo, si aggiunge il fatto che a chi osa minimamente chiederle conto dei suoi rapporti con determinate realtà  editoriali, la suddetta riservi un atteggiamento in profonda antitesi con le battaglie portate avanti proprio da quella stampa di riferimento che si ciba di notorietà  alla kermesse perugina.
Sulla scia delle polemiche scaturite dalla vicenda Renzi, mi è capitato di imbattermi in un dialogo con Arianna Ciccone: alla mia richiesta di delucidazioni sui rapporti tra la blogger star e il prestigioso settimanale (gli articoli del cicconiano blog Valigia Blu vengono spesso e volentieri ripubblicati sul sito de l’Espresso),  la replica è stata furente:

«Per evitare ricadute sulla mia credibilità  e di International Journalism Festival che gestisco da anni, i miei legali mi hanno consigliato espressamente di denunciare i fatti, a meno che Nicola Mente non ritiri le sue insinuazioni di essere in accordi commerciali o di altra natura (visibilità , consensi, contatti) con l’Espresso senza dichiararlo espressamente. In caso contrario procederò a denuncia alle autorità  competenti per tutelare anche il nome delle persone che lavorano al festival.»

Una reazione spropositata, rincarata da vari interventi del suo “ambiente” (Alessandro Gilioli, Fabio Chiusi, Tommaso Ederoclite, Galatea Vaglio) in un tourbillon di mistificazione sul “trollismo” e sulla violenza della Rete: violenza becera che si trasforma in dignitosa voce della “società  civile” a seconda delle loro personalissime interpretazioni. Si combatte la lentezza della giustizia e poi si minaccia di intasare tribunali con querele improbabili. Si condanna il politico dalla denuncia facile («politici che si rivolgono ai tribunali per rendere più timida la mano di giornalisti e blogger, quando questi si avvicinano alla tastiera», scrive Gilioli in data 26 giugno, riferendosi all’intenzione di querela del senatore Franco Mugnai nei confronti di Massimo Malerba de il Post Viola), e si cade sullo stesso errore quando qualcuno osa mettere in discussione qualche avventata esternazione. Sempre Gilioli, infatti, in calce alla discussione sopracitata, scrive: «Ciccone serva di De Benedetti, Damilano servo di Bersani, Cerno servo di Fioroni, Gilioli servo della Trilateral, Chiusi servo dell’Udinese calcio. Ormai in questo Paese se dici che sono le tre e un quarto dicono che ti pagano quelli del segnale orario».

In conclusione, la domanda che emerge con spontaneità  si affaccia su quel presunto e millantato universo democratico e civile in cui sguazzano personaggi che sembrano prestare attenzione all’esclusivo interesse personale, in un gioco clientelare di discutibile moralità . Ѐ davvero possibile accettare che Arianna Ciccone (o chi per lei) abbia la possibilità  di decidere scalette editoriali bypassando la libertà  dei lettori? Ѐ davvero possibile accettare che ci siano squadre e squadrette capaci di veicolare attraverso la Rete il consenso verso questa o quell’altra realtà  politica? Ѐ davvero possibile ritenere tutto ciò come frutto della tanto decantata società  civile, e del tanto osannato Popolo della Rete?


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