Liberismo e disincanto L’europa vista dall’est

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Pochi si sono accorti di un bizzarro avvenimento: il ritorno della stella comunista in un luogo altamente simbolico della vita dell’Unione Europea: una moneta da due euro emessa nel 2011 dalla Slovenia e dedicata al «leggendario partigiano Franc Rozman». Lì, infatti, con una grafica che ricorda le riviste d’avanguardia slovene degli anni Venti, insieme all’eroe partigiano campeggia una stella a cinque punte, prudentemente motivata come simbolo del gruppo a cui l’eroe apparteneva. Di questo e di molto altro leggiamo in una variegata raccolta di saggi: L’Europa del disincanto. Dal ’68 praghese alla crisi del neoliberismo (Rubbettino), curata da Francesco Leoncini, storico a Ca’ Foscari e autore di lavori sulla storia centroeuropea e la Primavera di Praga in particolare.
Il volume è un bilancio a più mani dei primi vent’anni delle società  postcomuniste, viste nel più ampio contesto europeo e mondiale. E anche un catalogo di speranze disattese: dalla Germania annessa e riunificata (coi sopravvenuti problemi economici e occupazionali) alla Cecoslovacchia delle privatizzazioni selvagge, tra errori e corruzione, esito di un’ottusa politica neoliberista a cui si era, purtroppo, rapidamente adeguato anche il presidente Havel nella sua sterile difesa dell’antipolitica.
I saggi mettono a fuoco realtà  che prima sfumavano in un’unica massa informe all’ombra dell’URSS. Vediamo allora le concrete difficoltà  della Lituania a fare i conti col proprio cinquantennio comunista, ossessivamente negato, anche a costo di una politica estera masochisticamente filoamericana che le impedisce una proficua politica di buon vicinato con la Russia e la Polonia. O la nascita della nuova generazione di manager che aveva favorito in Cecoslovacchia la “rivoluzione di velluto”, e i mutamenti di questa nuova élite nel ventennio successivo. O il lento percorso iniziato nel ’68 dalla Slovenia verso l’indipendenza, percorso che scopriamo partire dalla musica rock e dai gruppi punk, sostenuti – per una di quelle schegge di assurdità  che solo il socialismo reale sapeva produrre – dalla Lega della gioventù socialista.
La delusione per i risultati non raggiunti produce nella popolazione la nostalgia, anzi: l’Ostalgia, nostalgia di quell’Est ingenuo e un po’ demodé che – se anche requisiva la libertà  personale – assicurava però una vita tranquilla, un posto di lavoro, alcuni valori rispettati, se non dallo Stato almeno dai cittadini. Una nostalgia che ricorda quella sorta dopo il crollo dell’Impero Asburgico, subito trasformato in materia di rimpianto e di alta letteratura, mentre ora si esprime nei raduni oceanici dei proprietari di Trabant, la vecchia utilitaria tedesco-orientale simile a una scatola di sardine, o negli alberghi tedeschi che offrono arredi e gadget del passato comunista.
E la chiave di questa nostalgia – politica ma ancor più esistenziale – è implicita già  nel titolo del saggio introduttivo: “L’Europa neoliberista ovvero la seconda sconfitta della Primavera di Praga”. Qui Leoncini ricorda che, se tra gli obiettivi del nuovo corso cecoslovacco del ’68, c’erano il progetto di un mercato regolato (non più sottoposto al rigido controllo statale) e la partecipazione dei cittadini «alle decisioni sui problemi economici», il brusco passaggio nell’89 ne è stato la più feroce negazione, anticipando in quei territori quell’impoverimento generalizzato e quella concentrazione della ricchezza che più tardi si sarebbero presentati anche a Occidente. Invece di restituire loro l’indipendenza, anche economica, il sommovimento dell’89 li ha mutati in passivi «mercati d’esportazione e riserva di mano d’opera a basso costo», istillando nelle popolazioni – scosse da scandali e corruzione – un’inguaribile sfiducia in questa democrazia così lungo inseguita. Intervistato una decina d’anni fa, il sociologo Zygmunt Bauman dichiarava: «Sono contento che lei mi definisca un socialista… A mio avviso, il nostro mondo ha bisogno più che mai di socialisti, e tale esigenza è diventata molto più vitale e impellente dopo la caduta del muro di Berlino… Credo che il programma socialista e quello liberale siano più complementari che alternativi».


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