Sanità , nelle Regioni «sprecone» i servizi peggiori

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ROMA — In un mondo normale se uno paga più tasse si aspetta servizi migliori. Ma nella Sanità  è il contrario. I cittadini delle regioni con i conti sanitari in deficit pagheranno di più già  dal 2013, come dice l’emendamento al decreto di spending review che anticipa l’aumento dell’addizionale Irpef, ma sono anche quelli che ricevono i servizi peggiori. 
Sei regioni, da sole, hanno cumulato tra il 2008 e il 2011 un disavanzo di 10,4 miliardi, pari al 94,5% del totale. Si tratta, nell’ordine, di Lazio (quasi 5 miliardi, cioè 865 euro per abitante), Campania (2,3 miliardi), Puglia (1,1), Sardegna (786 milioni), Calabria (632) e Sicilia (592). E sono le stesse che registrano il più alto tasso di insoddisfazione tra gli utenti e di ospedalizzazione fuori regione: «Un quinto delle imposte pagate dalle famiglie e imprese del Sud serve a finanziare i viaggi della speranza». Sempre al Sud la percentuale di parti cesarei (dal 40 al 61%) è doppia rispetto alle migliori regioni del Nord. Doppia anche la durata media delle code agli sportelli Asl: in Calabria nel 74% dei casi si superano i 20 minuti. 
Sono cifre e considerazioni contenute in un rapporto della Confartigianato, che chiede al governo di «eliminare senza pietà  sprechi e sacche di inefficienza perché — dice il segretario generale Cesare Fumagalli — è improcrastinabile una riduzione della pressione fiscale su lavoro e imprese che pagano le tasse più alte del mondo», anche per finanziare la Sanità . 
Vediamo alcuni dati di partenza: tra il 2000 e il 2011 la spesa sanitaria è cresciuta del 64,1%, a un ritmo doppio rispetto al Prodotto interno lordo (31,9%), ma in parte è naturale perché la popolazione invecchia e le cure diventano sofisticate. Oggi la spesa ammonta a 114,5 miliardi, pari al 7,2% del Pil, un livello non eccessivo. La spesa pro capite media è di 1.851 euro. Al primo posto c’è la Provincia di Bolzano con 2.256 euro, seguita da Friuli Venezia Giulia (2.074) e Molise (2.054). All’ultimo posto c’è la Campania con 1.710. Il Lazio è al settimo posto con 1.969 euro, la Lombardia al dodicesimo con 1.867. Come si finanzia questa spesa? Con le imposte, comprese le famigerate addizionali regionali Irpef. Se c’è una bassa evasione fiscale e una gestione efficiente si possono chiudere i conti in attivo. Succede in 8 Regioni, che nel 2008-2011 hanno appunto cumulato un avanzo. In testa l’Emilia Romagna con 113 milioni, seguita da Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lombardia, Umbria e Piemonte. 
Ora uno potrebbe pensare che dove si spende senza badare agli equilibri di bilancio il servizio sia migliore, invece «al crescere del deficit vi è — solo per fare un esempio — una tendenza alla diminuzione della soddisfazione dei pazienti ospedalieri per i diversi aspetti del ricovero»: assistenza, vitto, servizi igienici. In Sicilia, Calabria e Lazio più di un paziente su 4 si dichiara scontento. A Trento solo il 5,2%, in Emilia Romagna l’8,9%, in Lombardia il 16,5%. In un anno poi (dati 2010) dal Mezzogiorno si muovono 244 mila pazienti per ricoverarsi altrove, «pari al 9,2%, oltre sei volte il valore registrato nel Nord». Così nel Sud «una quota significativa (il 20% circa) delle imposte pagate dai cittadini e dalle imprese per finanziare il servizio sanitario viene assorbita dal pagamento di Asl e aziende ospedaliere localizzate fuori regione». Un altro esempio macroscopico di spreco, secondo il rapporto, è rappresentato dall’eccesso dei parti cesarei. L’Istituto superiore di Sanità  raccomanda un tetto del 15% sul totale dei parti. In Campania, nel 2010, sono stati invece il 61,8% e tutte le regioni del Sud stanno sopra il 40%. Le stesse che registrano anche le file più lunghe agli sportelli Asl. Nel 64% dei casi l’attesa supera i 20 minuti, contro il 38,4% nel Nord-est. 
Ora, come ha scritto ieri sul sito lavoce.info Vittorio Mapelli, docente di Economia sanitaria all’Università  di Milano, il sistema sanitario è a un bivio: Regioni e Asl possono prendersela col governo per i tagli e ridurre i servizi «oppure aumentare la produttività , tagliare gli sprechi e garantire la stessa quantità  di prestazioni di oggi anche con meno risorse». Si può fare: «I tagli alla spesa sanitaria non sono un attentato alla salute degli italiani, perché i dati mostrano che le regioni più efficienti — senza deficit e spesa pro capite contenuta — sono anche quelle con i servizi più efficaci (con i migliori esiti di guarigione e salute). E viceversa, quelle (del Sud) con i più alti deficit e la spesa incontrollata, hanno le peggiori performance, in termini di efficienza, efficacia e appropriatezza. Magari, spesa più elevata volesse significare migliore qualità  dei servizi!». Secondo i calcoli del professore, per garantire gli stessi servizi nonostante i tagli, «sarà  necessario eliminare i consumi eccessivi o inappropriati del 3-4% all’anno», per esempio riducendo l’uso di farmaci, soprattutto al Sud, ai valori medi nazionali (si potrebbe risparmiare fino all’8%), aumentando i ricoveri in day hospital (risparmi fino al 20%), e la produttività  del personale. Se Regioni e Asl non lo faranno, conclude, saranno «i cittadini a soffrirne, si allungheranno le liste di attesa e molti si rivolgeranno al privato».


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