I SENSI DELLA VITA

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Mentre l’aspetto conto le fotografie dentro le cornici che mi osservano da ogni angolo del salone verde riempito di alte finestre e cieli lombardi. Sono una quarantina, virano dal seppia al bianconero fino a un solitario esemplare a colori, lei con papa Wojtyla. Passano in questi volti le stagioni di tante esistenze. La sua bellezza è ovunque timida, luminosa e aerobica, resistente. Su un tavolinetto tondo ci sono i Diari di Fernanda Pivano, una foto autografata di Alda Merini, una raccolta di poesie di Emily Dickinson e un’iscrizione di Alessandro Manzoni che fa al caso nostro, introduce infatti l’oggetto della conversazione con questa frase: «Offrire la propria immagine agli amici non è segno di vanità , ma l’onesto desiderio di vivere nella loro memoria».
Valentina Cortese arriva in verde pallido intonato ai divani, piccola e pallida anch’essa. Il corpo e i capelli bianchi coperti. Osservandola intuisco che la bellezza può anche essere protezione dai mali della vita. L’accompagna Giovanna, salvadoregna, assistente, domestica, segretaria, amica, con lei da oltre venticinque anni. Si sostengono anche fisicamente l’una con l’altra, giocano, ridono, a volte completano assieme le risposte. L’intervista sarà  semplice, erratica, tra qualche debolezza del ricordo o dell’udito, tra l’ironia e le piccole bugie, tra lezioni di seduzione e antiche commedie.
Che cos’è l’amore, signora Cortese?
«L’amore è uno stile di vita. Io l’ho vissuto e l’ho recitato. Il teatro lo fai per alcune ore al giorno, nel resto del tempo che fai, non vivi? A me non piace parlare d’amore, mi piace farlo. Ci faccia caso, le persone che non sanno amare parlano sempre d’amore».
Ha saputo sempre distinguere tra l’amore recitato e quello vissuto?
«Vede, caro, la verità  è che non sono mai stata un’attrice, non ho mai veramente amato il mondo del cinema. L’amore si riconosce dall’amore. Una persona che sa amare ama la vita, ama l’umanità . Sono cresciuta in campagna e ho ancora quelle persone dentro di me. La miseria, eppure la generosità  dei poveri che danno ai poveri. La prima volta che sono entrata in una casa dei sciuri credetti mi avessero portata in chiesa. Le poltrone dorate, i lampadari di cristallo, i tendaggi di velluto. Ero una ragazzina. Quel giorno ho capito che il mondo si divide in ricchi e poveri. È il motivo per cui non ho mai battuto i piedi sul palcoscenico».
Eppure si dice che il primo personaggio ad andare in scena è la vanità .
«Se si vuole avere rispetto di chi paga il biglietto per vederti al cinema o a teatro bisogna amare molto se stessi. Se non ami te stesso quale energia positiva comunichi? Se sei disarmonico trasmetti disarmonia. Platone dice che l’amore verso se stessi è come amare e onorare la nostra anima. Amare e onorare, capisce?».
Non sono d’accordo ma capisco. Marlon Brando disse invece: «Che cosa ho fatto di male per dover passare la vita in mezzo agli attori, gente che non ha nulla da dire?».
«Battuta da star-system, studiata per la stampa. Non siamo tutti così e poi spesso è meglio essere buoni piuttosto che intelligenti. Certo, l’America è strana, ho visto cose che mi hanno fatto orrore e ridere di spiritosaggini che non fanno ridere. Ma si supera tutto, basta avere un po’ di stupidità , qualche momento di cretineria. Io sono ancora una bambina».
E, sia sincera, servono anche quante dosi di narcisismo?
«Ma io sono sincera sempre, caro, sempre. Ed è la mia forza. Di narcisismo ne ho una buona dose, certo. È una componente che fa parte dell’essere attore. Sei costretto a lavorare una vita intera su di te, sei il solo punto di riferimento di te stesso. Si dice che l’artista ha una creatività , no? Bene, allora l’attore costruisce un personaggio come il pittore dipinge un quadro, appoggiandosi al proprio egotismo. Modifica la realtà  secondo la propria natura. Può capitare di sentirsi simili a Dio».
Un dio malato e nevrotico?
«Sono in pace con me stessa. Lo sono sempre stata. Avrei potuto rimanere a Hollywood non sa per quanto, ma di compromessi non ne ho mai fatti. Mai passata nel letto di un produttore, per un no a uno che aveva i denti da coniglio sono stata distrutta. Me ne sono tornata in Italia a ricostruirmi con il cinema d’autore e il teatro, la mia vera passione. Non mi pare sia andata poi male. Senza nevrosi.
Le mie radici contadine mi fanno stare con i piedi per terra anche oggi. E poi cos’è la carriera rispetto alla vita? La vita non è successo o insuccesso, mi è andata bene o mi è andata male, non è questo. A mio modesto parere si nasce per imparare il mestiere di vivere, il senso della vita sta nel riuscire a realizzare in modo disciplinato e corretto le nostre energie. Ho un’unica malinconia: che tutto sia finito».
Amici, colleghi. Chiuda gli occhi. Chi le passa davanti?
«Humphrey Bogart: aveva un carattere chiuso e difficile, qualcosa di indefinibile lo rendeva unico. Anche senza parlare ti comunicava ciò che voleva. Era misurato e preciso nella recitazione. Sembrava volesse mangiare tutte le donne. Fellini: era un adorabile bugiardo. Ho già  detto tutto di Fefè. Aveva una strana attrazione per l’ambiente della cucina, la immaginava come la fucina delle trasformazioni. Ingrid Bergman era un angelo. In lei c’è sempre stato qualcosa che andava al di là  del suo fascino di donna e attrice. Quando a Hollywood stetti male, molto male, quasi morivo, lei senza neanche conoscermi mi mandò immediatamente il suo medico. La rividi a Parigi negli anni ‘70, venne a vedermi recitare nel Giardino dei ciliegi, la sua umanità  non era cambiata. Mastroianni: per Marcello recitare è sempre stato un gioco. Ha debuttato nei Miserabili con me. Bello come un dio. Grande attore, amato in tutto il mondo, lo vidi nella sua ultima interpretazione a Milano, nelle Ultime lune.
Anche se invecchiato e malato, percepivi in lui una sorta di attrazione particolare. È stato una persona vera e un amico fedele. A 19 anni ho girato con Gassman
L’ebreo errante. Le risate pazze che ci facevamo! Eravamo a Roma, mi veniva a prendere in bicicletta per andare sul set. Non ci siamo frequentati molto. Peccato. Poi Spencer Tracy, intelligente e buono e Gregory Peck, gentiluomo dell’Ottocento a cui prestai la mia casetta a Venezia e lui restò affascinato da Gigliola, la mia cameriera ».
Quanti amori beati e amanti terribili si è concessa?
«Come diceva Oscar Wilde, non sono le domande a essere indiscrete, ma le risposte. Ancora oggi amo gli uomini che ho amato, sono vibrazioni sottili che non so spiegare. Ho avuto amori e amanti. Non ho mai rivelato quelli segreti, caro, no, perché non sarebbero più segreti. Ho avuto tanto di tutto. Glielo dico con Rilke: l’amore è l’occasione unica di maturare, di prendere forma, di diventare in se stessi un mondo».
Tra gli uomini che ha scelto per lunghi tratti della vita ci sono stati il direttore d’orchestra Victor De Sabata, l’attore Richard Basehart, Giorgio Strehler e Carlo De Angeli. Nessuno di loro si somiglia.
«Amori differenti tra loro perché differenti erano le mie età . De Sabata è stato l’incandescenza dell’amore. Di Basehart non voglio parlare, è solo il padre di mio figlio. Quello con Strehler è stato il sentire all’unisono, corpo e anima, fino ai dettagli più insignificanti come la tazza di cioccolata che Giorgio mi preparava la notte dopo teatro. Carlo De Angeli è stato l’amore maturo, quello della mutazione reciproca».
Che cosa intende per mutazione?
«Viene un tempo in cui si cambia modo di amare, come si cambia il modo di camminare. In una certa stagione della vita l’amore non è altro che la sessualità  portata a un livello superiore. Una componente dell’amore che io coltivo da sempre è l’ammirazione. Ho sempre ammirato i miei uomini, è un modo di avere cura dell’altro. È terapeutico prendersi cura di qualcuno. Sono stata amata da uomini molto alti, mi guardavano da lassù e io smettevo di sentirmi sola e di avere paura. Li piango ancora e ci sono sere in cui rileggo le loro lettere».
Solleva una fotografia di lei e De Sabata, lo bacia come farebbe l’attrice che è stata. Che cosa si ama a 90 anni?
«Amo moltissime cose. Posso amare un gatto, un Rembrandt, un bellissimo giovane o un anziano pieno di fascino. Ciò che conta è volare alto. I corvi vanno a schiera, le aquile volano sole. Mi spiego meglio: lei ha mai visto camminare un’aquila? Le aquile sono destinate a volare in alto, non a stare nei pollai».
Lei mi ha detto qualche minuto fa che è più facile smarrire la memoria quando si sono provati molti dolori. Qual è il più grande che si porta dentro e le fa più male?
«Mia madre. Intravista appena e conosciuta soltanto come la zia Olga. Sono stata cresciuta e amata dalla balia, mamma Rina, ho sempre considerato lei la mia vera madre».
Come vorrebbe essere amata nel suo ultimo giorno?
«Copritemi con un vecchio vestito di scena oppure semplicemente con un lenzuolo e buttatemi nel fuoco. Mettete le mie ceneri accanto a quelle dei miei cani che sono già  sei. E io vi prometto che conserverò il mio sguardo incuriosito se, di là , dovessi scoprire che esiste il paradiso».
Illudiamoci che ci sia. Che cosa vorrebbe trovarci?
«Molti alberi».


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