Bilanci, i verbali della Maugeri che ammettono le irregolarità 

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MILANO — Chi era pagato per controllare i bilanci della Fondazione Maugeri lo ha fatto? No, secondo i documenti consultati dal Corriere. E infatti l’altro ieri i tre revisori dei conti sono stati cacciati. Ma perché? I verbali inediti del consiglio di amministrazione della Maugeri raccontano come un gruppo sanitario che riceve un fiume di denaro pubblico possa gestire la contabilità  senza seri controlli, anche interni.
La Fondazione è al centro di un’inchiesta della Procura per 70 milioni di fondi neri creati con la complicità  dei faccendieri Piero Daccò e Antonio Simone, amici del governatore Roberto Formigoni ed entrambi in carcere da mesi.
Le carte dei consigli di amministrazione della Maugeri rivelano la tensione e la drammaticità  delle riunioni successive agli arresti del 13 aprile.
Cinque giorni dopo lo scoppio dello scandalo si riunisce d’urgenza il cda. Sul tavolo una lettera del presidente Umberto Maugeri, agli arresti domiciliari, datata 16 aprile: «Nell’interesse e a tutela dell’immagine della Fondazione ho deciso di dimettermi con effetto immediato…». Fuori anche gli altri manager coinvolti nelle indagini. Viene annunciata un’inchiesta interna e le redini della clinica vanno ad Aldo Maugeri, avvocato di 66 anni, fratello di Umberto. Ha la benedizione dell’«azionista di maggioranza», ovvero l’organo che esprime la gestione: è l’Associazione dei Promotori e dei Sostenitori della Fondazione. Chi ne faccia parte non è noto.
A fine aprile la società  di revisione PricewaterhouseCoopers (Price) riceve l’incarico formale di certificare il bilancio 2011. Lavoro delicato. Il gruppo (oltre 3.000 dipendenti, 2.200 posti letto, 330 milioni di fatturato in gran parte con la regione Lombardia) non ha mai subito l’«intrusione» di veri controllori. L’impatto degli uomini della Price è da brividi. Tant’è che il 31 maggio il cda decide di rinviare l’approvazione dei conti e contestualmente viene ingaggiato nel consiglio (60 mila euro annui) Luigi Migliavacca, professore a contratto all’Università  di Pavia e per 35 anni partner della stessa Price.
Un mese ancora e a fine giugno l’annuncio di un bilancio «di prudenza e di rigore», locuzione classica che prepara al botto: 90 milioni di perdita. Ma la Fondazione ha un patrimonio che regge l’urto. E i precedenti bilanci? Probabilmente aiutati da artifici contabili. A questo punto però è chiaro che ci sono responsabilità . Un buco da 90 milioni non si crea dall’oggi al domani. Un nuovo cda del 26 luglio mette all’ordine del giorno la «sostituzione dei membri del collegio dei revisori». Sono tre: il presidente dell’organo di vigilanza Francesco Ciro Rampulla, professore associato di Diritto amministrativo all’università  di Pavia, il commercialista Paolo Maria Sacchetti e il ragionier Goffredo Rossi. Aldo Maugeri «informa il consiglio — si legge nel verbale del cda — di aver inutilmente richiesto» le loro «spontanee dimissioni». Invito non accolto e dunque si procede «alla revoca per giusta causa» e alla nomina dei sostituti.
I motivi alla base della richiesta di dimissioni? Due in particolare. Il primo è «il parere favorevole» espresso sui bilanci 2009 e 2010 per la «capitalizzazione all’attivo di costi di ricerca e sviluppo per circa 23 milioni». Operazione contraria ai corretti principi contabili secondo il cda e secondo «il parere della Price». Dunque sono soldi che «hanno dovuto essere stornati», ossia cancellati dall’attivo patrimoniale. L’effetto si è visto sul bilancio 2011. La seconda accusa ai revisori riguarda «l’iscrizione tra i ricavi nei bilanci 2009-2010 di contributi… deliberati dalla Regione Lombardia» nell’ambito della legge a favore di enti non profit. È la famigerata legge Daccò. La Maugeri iscrive «un credito di 22,7 milioni» nei confronti della Regione contravvenendo «a corretti principi contabili». Erano soldi, insomma, ritenuti a incasso garantito, facendo leva, probabilmente, sulla capacità  di «aprire porte in Regione» di Piero Daccò. La revoca dei tre revisori è stata formalizzata l’altro ieri.
Rampulla, presidente uscente del collegio dei revisori, risponde al telefono: «Ci hanno chiesto le dimissioni probabilmente su input della Procura. Certo, nei costi di ricerca si annidavano alcune partite discutibili ma avallate da contratti regolari e il collegio non poteva che prenderne atto. Comunque i criteri contabili sono stati scelti dal cda e avallati dal collegio sulla base delle norme. Bilanci falsi? No, ripeto, criteri diversi per valutare certe poste di bilancio. Daccò? Come facevamo a scoprire l’anomalia delle consulenze? C’erano contratti, pagamenti e relazione finale; noi vedevamo la forma, non la sostanza purtroppo. Dico ciò senza polemica con nessuno». Fatto sta che un vero sistema di controllo indipendente, interno o esterno, non è mai esistito.
Tutta colpa dei tre revisori? In passato i bilanci erano firmati dall’ex presidente, Umberto Maugeri e li approvava un consiglio di cui faceva parte anche il fratello Aldo. È lui oggi il nuovo numero uno.


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