E in Italia lo «spread del malaffare» continua a salire

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ROMA — Si fa presto a dire corruzione. C’è quella reale, che nessuno conosce nei suoi termini esatti, giacché si tratta di un fenomeno sommerso per definizione. C’è quella percepita, calcolata sulla base di diversi indici. E c’è quella individuata o provata nei palazzi di giustizia (le cui cifre non coincidono, perché un conto sono le inchieste e un altro le sentenze). Per avvicinarsi a una stima affidabile dell’entità  del malaffare legato a politica e pubblica amministrazione, ci si affida ai dati della corruzione percepita — attraverso statistiche e sondaggi — e di quella perseguita, forniti dagli uffici giudiziari. Ma i numeri vanno in direzioni opposte. Perché se la corruzione percepita sembra in costante aumento, quella accertata da pubblici ministeri e giudici continua a diminuire.
La distanza tra i due fenomeni è quella che il professor Alberto Vannucci, docente universitario che da anni conduce ricerche su questo tema, ha definito lo «spread della corruzione», cioè «il differenziale tra le attività  illegali condotte nell’ombra e la quota che emerge dando vita a procedimenti penali e alla sanzione dei responsabili». E quando lo spread sale è un brutto segnale per il Paese, come accade per quello che indica il divario tra i rendimenti dei titoli pubblici. In Italia accade proprio questo: «A partire dagli anni Duemila, per un verso è lievitata la cifra nera della corruzione, l’ammontare di reati portati a buon fine senza destare scandalo; per un altro, visto il crollo delle condanne, è cresciuta in misura ancora più marcata quella che potremmo definire la cifra grigia della corruzione, quell’ammontare di episodi che, per quanto diano vita a un procedimento giudiziario, di fatto si traducono in un nulla di fatto, a causa del proscioglimento o dell’assoluzione dei protagonisti, o ancora più spesso a seguito del mero trascorrere del tempo, grazie alla prescrizione», scrive Vannucci nel suo Atlante della corruzione, appena pubblicato da Edizioni Gruppo Abele.
Le curve delle denunce per reati di corruzione e concussione hanno avuto un’impennata dopo il 1992, sull’onda delle indagini di Mani Pulite, che ha raggiunto il suo apice nel ’95 con circa 2.000 episodi e più di 3.000 persone, da allora s’è registrata una vertiginosa discesa, fino alle 223 denunce nel 2010 (circa un decimo rispetto a quindici anni prima). È difficile immaginare che ciò sia conseguenza di una diminuzione del fenomeno, giacché i dati sulla sua percezione e diffusione, invece, appaiono in aumento. Piuttosto è sintomo della difficoltà  a raggiungere risultati giudiziari adeguati, soprattutto a causa della difficoltà  delle indagini e dei tempi troppo brevi di prescrizione del reato.
In Europa, le rilevazioni del Global corruption barometer istituito dall’associazione non governativa Transparency International, fanno precipitare l’Italia a uno degli ultimi posti. Nel 2009, in Italia il 17 per cento dei cittadini ha riferito di aver ricevuto nell’ultimo anno una richiesta di pagamento di tangente, rispetto alla media continentale del 9 per cento. Esiste un indice di percezione della corruzione (Cpi) attraverso il quale a ciascun Paese viene assegnato un punteggio che va da 0 (massimo grado di corruzione) a 10 (assenza di corruzione). La classifica dei Paesi più immuni, nel biennio 2009-2010, è guidata da Danimarca e Finlandia attestate su 9,4, mentre l’Italia è quart’ultima con 3,9, seguita da Romania (3,6), Grecia (3.4) e Bulgaria (3,3).
«La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico che influenza la società  nel suo complesso», sottolinea nel suo rapporto il Greco, il Gruppo anti-corruzione collegato al Consiglio d’Europa. E lo spread crescente deriva da diversi fattori. Uno è l’idea che lo scambio corrotto sia un «crimine senza vittime», come le scommesse clandestine o lo spaccio di droga, a causa della «partecipazione volontaria dei suoi protagonisti» che di solito non hanno interesse a denunciare. Ma nella realtà  le vittime ci sono, ricorda il professor Vannucci illustrando i danni imposti dalla corruzione con l’inquinamento della democrazia e della libera concorrenza, il rafforzamento delle mafie. E con l’aumento dei costi dei beni e servizi pubblici pagati dai cittadini, sui quali normalmente vengono caricate le spese extra sostenute per tangenti e «mazzette».
Giovanni Bianconi


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