Finta bomba sotto un traliccio, tensione all’Alcoa

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 PORTOVESME (CARBONIA) — «Disposti a tutto» era scritto sullo striscione che i tre «Disperati » hanno ripiegato prima di scendere dalla torre. Forse non immaginavano si arrivasse fino a questo punto: i candelotti al posto degli slogan, una bomba (finta) a occupare lo spazio che la cronaca, nella trincea dei lavoratori Alcoa di Portovesme, aveva dedicato al cuore malato di uno di loro. O forse i «Disperati » avevano intuito che, dopo il blitz in cima al silo, spettacolare ma innocuo, il livello della protesta si sarebbe alzato. La conferma è arrivata ieri mattina alle 9. «C’è una bomba all’Alcoa ». Una telefonata anonima — voce femminile, leggero accento straniero — rivela all’Ansa la presenza di un ordigno ai piedi del traliccio Terna, a pochi metri dal colosso dell’alluminio che ha avviato il processo di chiusura dello stabilimento. «È pronto a esplodere». Scatta l’allarme, la polizia mette in sicurezza la zona. Gli artificieri trovano otto candelotti collegati con dei fili a un presunto detonatore. In realtà  è una scatola vuota. La finta bomba è stata confezionata con del mastice, una sostanza non esplosiva. Non avrebbe mai funzionato. Ma, ugualmente, lancia un segnale che gli investigatori definiscono «preoccupante» e che allarma anche il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri:
«È un episodio inquietante, ci lavoreremo sopra. Il rischio di un’escalation di violenza c’è, nel senso che le crisi sono serie e un po’ su tutto il territorio nazionale. Però è anche vero che il paese è un paese che tiene».
Dentro e fuori l’Alcoa comunque cresce la tensione. Si teme, dopo cinque giorni di proteste, per quello che potrebbe accadere la prossima settimana. E anche più avanti se l’azienda non retrocederà  dall’intenzione, più volte ribadita, di arrivare a una graduale dismissione dell’impianto. Tra gli 800 operai (500 dipendenti e 300 appaltati) la rabbia si è amplificata dopo la notizia — confermata l’altro giorno dai vertici Alcoa — che nessuna offerta concreta è arrivata finora dai potenziali acquirenti dello stabilimento di Portovesme. Una preoccupazione che anche ieri il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha rilanciato: «Andremo avanti per mesi a cercare una candidatura ma bisogna avere il coraggio di pensare anche ad altre alternative ».
Il gesto della finta bomba potrebbe essere stata una folle risposta a questo stato di incertezza. Uno stallo nel quale le speranze delle tute blu di vedere tutelati i loro posti di lavoro stanno andando a picco. Chi ha piazzato l’ordigno «scarico»? Nuova azione dimostrativa degli operai o incursione «esterna »? Chi indaga è orientato verso la pista «interna», quella che riconduce ai lavoratori in agitazione. Roberto Puddu, segretario della Camera del lavoro di Cagliari, li difende. «Loro non c’entrano nulla. Nelle nostre lotte e proteste creiamo disagi ma sempre nell’ambito della correttezza».
Oggi 500 dipendenti dell’Alcoa si imbarcheranno a Olbia su un traghetto messo a disposizione dalla Tirrenia. Domani mattina porteranno, in massa, la loro protesta a Roma. Al ministero dello sviluppo è in programma un nuovo incontro tra Regione, vertici Alcoa e rappresentanti della Glencore, una delle due multinazionali svizzere (l’altra è la Klesch) interessate a subentrare al colosso americano. Come incentivo all’eventuale operazione di acquisto lo Sviluppo aveva ribadito a Glencore condizioni di favore per la fornitura di energia elettrica, oltre a garanzie a tutela dei dipendenti. Ma la doccia fredda, per i lavoratori, è arrivata a stretto giro: con il secco comunicato dell’Alcoa. «Il processo di chiusura è stato avviato».


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