La salvezza è anche un conto in banca

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VENEZIA Il regista di «Magnolia» e «Il petroliere» alle prese con il lato oscuro dello spirito, dove la chiesa e i suoi adepti imitano le slot-machines Il mio non è un film su Scientology. Conosco la biografia di Ron Hubbard e il metodo di auto-aiuto di Dianetics, ma questa è soprattutto una storia d’amore tra due persone che si sentono profondamente simili Lunghi minuti di applausi per Ibrahim el Batout dopo L’inverno degli scontenti (Egitto), fuori gara, dettagliata ricostruzione, d’interno più che di piazza, degli avvenimenti che hanno portato alla caduta di Mubarak, ma non ancora al crollo della pluridecennale dittatura militare. Amir, giovane informatico, e Farah, presentatrice di un talk show edulcorato di regime che trova la forza di ribellarsi, saranno i testimoni di un cambiamento epocale, la riconquista della dignità  nazionale, ma anche delle torture nelle carceri speciali e del sistema repressivo messo in atto da generali e polizia come disperato tentativo di impedire alla moltitudine in piazza di farsi potere costituente. Secondo il film in realtà  il tentativo è riuscito perché, dopo la cacciata del Faraone e la vittoria elettorale dei Fratelli musulmani, migliaia di oppositori politici sono stati arrestati, uccisi e torturati. El Batout, con il precedente Hawi , dedicato ai giovani artisti (metallari, graffitisti, skateboardisti…) di Alessandria d’Egitto che avevano preparato underground la rivolta, si era imposto come esponente della «new wave egiziana» e conferma in questa suite sul «prima del 25 gennaio» e sul «dopo il 25 gennaio» la capacità  di lettura non superficiale del paese, mettendo in primo piano, sotto traccia ma visibile, la forza emotiva indistruttibile che in quei giorni è nata e che nessuna immagine girata in Egitto potrà  più nascondere o umiliare. Chi vuole venire al Lido e vedere degli ottimi film gratis si procuri un maglione e vada alla Pagoda, di fronte al fantasmatico Grand Hotel Des Bains (in restauro). Tutte le sere l’arena scodella un programma di ottima qualità  e tra poco perfino «corsaro», e finora né la pioggia né il controllo delle tessere (si può entrare senza essere schedati) hanno disturbato le proiezioni sulla spiaggia di The Golden Temple di Enrico Masi, che è una maniera davvero obliqua di ripensare alla grande festa dei giochi olimpici, o Le cose belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, sui bimbi belli di Napoli, o Tralalà  di Masbedo sull’Islanda dei vulcani, degli elfi e dei mostri (anche della finanza) che si sta spaccando in due, forse punizione divina per la sua inguaribile impermeabilità  al cristianesimo. A proposito di cristianesimo. Sempre più ambizioso e concentrato, il più bertolucciano dei cineasti hollywoodiani (ricordate i lussuriosi affreschi epici «volanti» Magnolia e Il petroliere ?), anche se è parte della «generazione Betacam», cioé Paul Thomas Anderson, porta in concorso al Lido che gli rifiutò Boogie Nights nel 1997, il suo sesto lungometraggio, The Master , un racconto metaforico tra John Huston ( Wise blood ), Sam Fuller ( Shock corridor ) e Jacques Tati ( Playtime ), che analizza le fondamenta spiritual-materiali del «paese di Dio». Il rapporto di fiducia tra salvezza eterna e conto in banca è alle origini della fondazione puritana e proprietaria del paese e anche dello sterminio dei nativi, benedetto certamente dal cielo calvinista che tifa sempre e solo per le mentalità  vincenti. Lo «stato etico» si trova altrove, qui l’individuo solamente è etico (se vuole) ma lo stato è meglio che non si faccia troppo vedere in giro. Lo spirito del capitalismo ha delle regole molto precise, anche se spietate. Se sei povero è colpa tua. Niente assistenza sanitaria per te, sarebbe una «aberrazione mentale». Siamo in uno stato di cittadini eguali? E allora? Se sei incapace di aggredire e asservire gli altri, sei subumano come un nigger. La grazia di dio è quella forza interiore che si misura in profitti (e, al limite, in charity compassionevole). E fin qui siamo al Petroliere . La libertà  è non avere nessun padrone, fosse anche lo stato o il senso di colpa, o la compassione o la religione. Ed ecco che arriviamo al superamento della concezione protestante del mondo e entriamo in quella liberista drastica e fondamentalista. Alle «sette» del dopo-bomba atomica. Anni 50. Cambia tutto. La corsa nello spazio. L’Lsd, la beat generation, le psicosi dei reduci, gli orrori di Auschwitz e Hiroshima, i media ipnotizzanti, la bulimia dei consumi… La religione va adeguata al complesso militare-industriale. La chiesa imita le slotmachines e il Lion’s club: si fa apparato per la valorizzazione e la protezione «intima» degli adepti, azienda «speciale» quotata in borsa, dispositivo ammazza-nemici, ordigno immaginario possente capace di sedurre magnati e sottoproletari, proteggendo la bassa manovalanza per le pratiche innominabili che innalzeranno il potere «spirituale», quindi materiale dei «soci finanziatori». Siamo così arrivati a The Master che analizza le scaturigini delle varie sette Moon e succedanee e, ce lo indica il titolo stesso un po’ orientaleggiante, ha poco a che fare con la cronaca dei nostri giorni, con gli scienziati o i fantascienziati della fede di Hollywood Boulevard, che non meritano certo lo sforzo di un feature-movie interpretato da due super star al massimo della forma come Philip Saymour Hoffman e Joaquin Phoenix. Si tratta, per Anderson, di deipnotizzare i deipnotizzatori, come si vanta di essere Lancaster Dodd (Hoffman, qui potente come Mitchum in La morte corre sul filo ), il suo anti-eroe, scrittore, filosofo, scienziato, mago weelesiano, fondatore di una fede contagiante, demagogica, con l’obbligo del sorriso e sessualmente e alcoolicamente tollerante, che renderà  tutti più sicuri, felici, ricchi ed eterni. Tra karma e Kools al mentolo. Il marinaio Freddie Quell (Phoenix, quasi irriconoscibile, ingobbito e con l’occhio della tigre, ma quella dell’ Era glaciale 3 ) reduce disturbato della guerra nel Pacifico, mamma in manicomio, gran distillatore di paradisiache pozioni, ritrattista fotografico squassato da una storia d’amore interrotta, affiancherà  come pupillo cavia e guardia del corpo, dopo essersi catapultato per caso, e dopo un doppio gioco di focali, nel «suo» yacht di lusso, il Papa della «Causa», dando quiete ai suoi fantasmi – attraverso quella tecnica deipnotizzante – ma proteggendo boss e famiglia con tecniche da mascalzone, a retrogusto gay, da San Francisco a New York, da Filadelfia a Londra, fino al presumibile «divorzio» o raddoppiamento apostolico. Il meccanismo è interessante. Una cultura esige chiarezza e pragmaticità . Chi risolve tutti i perché, i dubbi, le angosce e le ambiguità  merita una fiducia sconfinata. Quella che venne conferita all’inventore del football Usa quando riuscì con un sistema di regole chiare a perfezionare «il rugby» togliendone le incertezze collegate all’interpretazione britannica dell’arbitro sull’intenzionalità  di un gesto. Ecco: se anche la religione venisse trasformata in un sistema dalle procedure e dalle tecniche chiare? Freddie picchia a sangue un critico di Dodd quando osa definirlo: «un ottimo mistico». Lo stesso obiettivo se l’era prefissato, per liberare le persone e non per asservirle, e sempre nell’immediato secondo dopoguerra, l’epoca in cui si svolge il film, la «scatola orgonica» di Wilhelm Reich, che avrebbero distrutto la corazza nevrotica che la repressione sessuale scolpisce dentro di noi disalienandoci e distruggendo il sistema gerarchico capitalistico. Reich sì che fu punito davvero, incarcerato e perseguitato dai media…Questi santoni faranno invece parte del panorama all-american, conquistando la generazione di King Vidor con il «cristianesimo scientifico» e quella di Tom Cruise con Scientology.


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