“Le idee di Martini anticiparono l’Europa cattolici e laici si uniscano per tenerle in vita”

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MILANO — Professor Guido Rossi, centocinquantamila persone in Duomo, per il cardinal Martini una partecipazione intensa come per nessun altro vescovo nella storia. Perché?
«C’era gente di tutti i tipi, commossa, in fila, in una sera fredda e buia, l’ho voluto vedere anch’io sabato sera. Ma non mi sorprende. Perché Martini era unico. Un uomo del Rinascimento. Univa, ti accoglieva. Sapeva mettere a proprio agio le persone, una dote incredibile, come se in quel momento non avesse niente da fare e invece aveva sempre impegni importanti».
È stato il cardinale degli studi biblici ma anche delle aperture, della solidarietà , dell’accoglienza.
«Le sue visite ai carcerati, la sua capacità  di dare speranza… In un momento di degrado che colpisce tutti, politica, società  civile, chiesa, il suo insegnamento rivoluzionario non deve essere perduto. Il suo era un carisma internazionale, mi ricordo che dieci anni fa, quando compì 75 anni, anche prestigiosi quotidiani europei,
Le Monde e il Times lo ricordarono e lui non era certo tipo che andava in giro a autocelebrarsi. E attenzione, non era solo la sua straordinaria conoscenza della Bibbia, la sua qualità  di studioso a renderlo così popolare nel mondo, ma la sua capacità  di aprirsi».
Quanto c’era di Milano nel cardinal Martini?
«Questa città  ha avuto vescovi all’avanguardia, da Ambrogio in poi nessuno ha dato tanto alla Chiesa quanto i cardinali di Milano. Pensiamo a quello che ha fatto Schuster durante il fascismo, a Montini. Maestri di insegnamento umano. Martini ha continuato su questo solco diventando a sua volta rivoluzionario. Ha posto al centro di tutto la dignità  dell’uomo. Mi sembrava di leggere Pico della Mirandola, non un cardinale. Il suo insegnamento è stato anche profondamente laico. C’è una frase importante in un suo discorso alla città  del 2000».
Quale?
«Scriveva alla vigilia di Sant’Ambrogio, patrono cittadino. “L’illuminismo e il cristianesimo che innervano la nostra civiltà , pur essendo storicamente in contrasto, con il tempo hanno prodotto una sintesi preziosa che fa perno sulla dignità  della persona umana e sul carattere inalienabile dei suoi diritti fondamentali”. Un non credente non avrebbe potuto scrivere una cosa più profonda».
Perché era tanto innovativo
sul tema della giustizia?
«Con lui da Milano è partita una nuova legittimazione di una giustizia più equa. Nel suo libro “Sulla Giustizia” condannava senza appello la concezione retributiva della pena che era stato il nucleo centrale ebraico cristiano. Bisogna recuperare chi ha sbagliato, scriveva, superando la centralità  del carcere in ambito penale. Sembrava Cesare Beccaria. Parlavamo a lungo del problema della giustizia, ci confrontavamo».
La giustizia e il recupero di chi ha sbagliato sono strettamente legati alla condizione di vita. Martini andava a parlare con i lavoratori per capirne i problemi e per affrontarli.
«Il suo era un nuovo welfare di un illuminismo tipicamente milanese, un laboratorio che anticipava temi che sono esplosi dopo, penso alla flessibilità  del lavoro, all’articolo 18. Servono regole e non liberismo selvaggio, diceva. Sempre nel libro “Sulla Giustizia” attaccava il potere economico e politico. Pensava poi a un nuovo ruolo del sindacato, un welfare per i lavoratori, per i più deboli mettendo sempre al centro la difesa della dignità  umana. Principi etici straordinari, che uniscono la tradizione rinascimentale italiana alla dimensione europea, sembra di sentire Altiero Spinelli».
Che cosa bisogna fare per non disperdere l’eredità  di Martini?
«Per fare di Milano un laboratorio di una nuova cultura politica e civile bisogna raccogliere gli scritti di Martini, metterli a disposizione, organizzare un convegno con i più importanti studiosi del mondo. Bisogna tenere vivo Martini, tenere vivi i suoi straordinari insegnamenti. Va conservato il ricordo, c’è il dovere della memoria in un mondo e in un momento che non ne ha più».
E chi potrebbe raccogliere questo appello?
«Il cardinale Scola e il sindaco Pisapia, con il suo assessore alla Cultura Stefano Boeri. La Chiesa e il Comune insieme. Sarebbe un evento rivoluzionario. Quale modo migliore per continuare sulla scia di un uomo rivoluzionario quale era Martini. Sa una cosa?».
Prego.
«Martini non avrebbe obiettato al registro delle unioni civili di Pisapia. Ne sono sicuro».
Che Milano lascia Martini?
«Non diversa dal resto Italia, un patrimonio straordinario di individualità  ed eccellenze che non riescono però a emergere su un conformismo imperante».
Proprio lei, pochi giorni prima del saluto di Martini alla diocesi di Milano, nel 2002, lo invitò a non andare a Gerusalemme. “Chi parlerà  qui di immigrazione, di giustizia, di solidarietà , dei problemi della sanità  con il suo equilibrio e rigore? Non lasci Milano ora”. E evocò il Medioevo con i padri della Chiesa che tornavano dalla Terra Santa per combattere la peste. C’è ancora quella peste?
«Lui fu costretto ad andare a Gerusalemme, non venne confermato. E la peste è rimasta, è forte anche adesso. E si sente e si sentirà  la mancanza di Martini».
Martini ha voluto farsi seppellire in Duomo sotto la croce di San Carlo Borromeo, quella che servì proprio a sconfiggere la peste. Tutto torna.
«Stupendo, lui parlava e agiva molto per simboli e questa scelta ha un effetto importantissimo ».
Sarebbe stato un buon Papa?
«Sì. E adesso, guardando che cosa succede a Roma, mi chiedo che cos’è il Vaticano, questi momenti brutti ricordano un passato che si pensava cancellato, grandi riferimenti etici nelle parole ma non nei fatti. E quella intromissione nelle vicende dello Stato… Certo, Martini non sarebbe stato sulle posizioni di Bagnasco».


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