Lipari sommersa dal fango per la discarica abusiva

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MILAZZO — Le stradine di Lipari sono diventate fiumi di fango con sassi, travi, vecchi frigoriferi scaraventati giù con violenza dalla montagna verso il mare. Travolgendo case e macchine, allagando scuole e negozi. Una valanga venuta giù da una discarica abusiva riempita per trent’anni a dismisura, stracolma, senza controlli, lassù, sul costone dell’isola che domina il paese. Un’ombra inquietante sul corso delle botteghe turistiche, sui traghetti, sul Castello, sulle spiagge. Un disastro annunciato, come adesso dicono tutti maledicendo chi ha sempre portato su camion di detriti, elettrodomestici fuori uso, ogni materiale di risulta.

E le stesse stradine esplodevano gonfie d’acqua perché costruite su torrenti secchi, soffocati, ma sempre pronti a riprendere forza, a squassare tutto, a mettere in pericolo la vita di chi abita a Lipari, l’isola trasformata di botto in un inferno.
È la cronaca di un disastro che in poche ore ha fatto danni per almeno 30 milioni di euro. Niente, rispetto a quel che poteva accadere ai duecento bambini della scuola media costretti a rifugiarsi al primo piano con il preside Renato Candia: «La melma sfondava porte e finestre, bisognava proteggere i piccoli». Niente, rispetto al terrore dei dieci passeggeri del bus navetta affossato nel fango a Canneto, lungo la spiaggia dove tutti hanno costruito senza lasciare un buco. Niente, rispetto al panico di chi stava nelle cinque auto letteralmente sollevate in contrada Aurora, senza che nessuno potesse aiutarli. Come è accaduto a Nino Saltalamacchia, il dinamico presidente del Centro studi che anima le estati di Lipari con eventi e dibattiti, letteralmente «sequestrato» in casa: «Non potevamo uscire, tappati, con l’acqua che minacciava di salire fino ai balconi».
Quando ieri sera le barche dei pescatori hanno ripreso il mare con le loro lampare, mentre i turisti tornavano a passeggiare a Marina Corta per gli aperitivi di questa bizzarra coda estiva, sembrava che fosse passato un mese, un anno dal finimondo abbattutosi sabato sulle Eolie. Con un vento simile alla bora, da Panarea a Salina. E a Lipari con una bomba d’acqua descritta come «un diluvio universale» da Nino Pajno, il direttore del Centro studi, amareggiato dal «silenzio che in questi anni ha circondato i pochi decisi a tuonare contro lo scempio della discarica».
Una polemica infuocata sul web dove rimbalzano le foto e i video realizzati con i cellulari, lettere e recriminazioni, perfino poesie come quella di Giovanna Giardina, un attacco al governo (regionale) assente e anche all’uomo che non tiene conto della natura: «L’omu da natura ‘un teni cuntu e a ogni occasioni poi nni presenta u cuntu…». Perché il conto la natura lo presenta sempre, come ripetono Luigi Barrica e Bartolino Leone, due storici corrispondenti di giornali e agenzie, stavolta insieme per un accorato appello a difesa del Castello di Lipari. Una struttura monumentale che per una giornata ha fatto paura per le crepe aperte sui muri, per i possenti bastioni che sembrano spugne imbevute d’acqua: «L’acqua piovana non avendo sbocchi si infiltra nel sottosuolo provocando una pressione ai blocchi di pietra…».
Appello simile a quello che arriva dagli abitanti di Canneto, adesso preoccupati per fango e detriti che corrono dal Monte Sant’Angelo lungo il torrente cementato Dentro, fino alla trattoria La Praia, un’area a rischio scelta come zona di espansione artigianale e come sede del depuratore, tutto sotto una sorta di cascata che per un miracolo ha fatto solo danni materiali. Danni per i quali adesso tutti si mobilitano. A cominciare dai candidati alle regionali, pronti a promettere soldi e interventi per lo «stato di calamità » subito richiesto al governo dal sindaco Marco Giorgianni. Ma è fresco il ricordo degli impegni scattati meno di un anno fa, nel novembre 2011, quando qualcosa di simile accadde nei paesi del messinese di fronte alle Eolie: 300 milioni, mai arrivati.


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