L’oscuro manto della triste scienza

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Il lessico della crisi si avvale di molti acronimo o di termini che nulla dicono a chi non frequenta gli ovattati uffici delle imprese finanziarie o le aule universitarie. Lo spread, ad esempio, è diventata una parola talmente usata che nessuno spiega più cosa significa. Così, se qualche speaker della televisione o un commentatore della carta stampata afferma che lo spread è salito, significa che l’economia va male e che si preannunciano misure che colpiscono salari, servizi sociali. Pochi sanno cosa sia effettivamente lo spread – il differenziale dei tassi di interesse che riguardano i buoni emessi dagli stati nazionali dell’Unione europea -, ma è invece conosciuta la sua traduzione nella vita di uomini e donne. Andrea Fumagalli nel suo ultimo libro – Sai cos’è lo spread?, Bruno Mondadori, pp. 148, euro 12 – prova a definire il filo rosso che lega le condizioni di vita e i termini specialistici della «triste scienza», illustrando, in una prospettiva critica, il lessico economico dominante.
Il libro, che è stato presentato ieri al Festivaletteratura di Mantova (si replica oggi alle ore 10.15 al Chiostro del Museo Diocesiano, dove si parlerà  anche dei «Quaderni di San Precario»), ha il pregio di essere di facile lettura e di illustrare non sono il significato dei termini e di ricostruire storicamente la loro genesi, all’interno di quel «dominio della finanza» che rendono lo spread, i subprime, il default, le agenzie di rating e la troika, anelli di quella catena che inchioda a una condizione di «sudditanza» di uomini e donne.
L’origine di tale «dominio finanziario» è rintracciata al tornante tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento. Fino ad allora, la finanza aveva un campo di azione fortemente limitato. La mobilità  dei capitali era regolamentata dagli stati nazionali, così come l’oscillazione dei tassi di interessi, mentre le banche e le imprese finanziarie potevano svolgere alcune limitate operazioni. Il mondo era sempre uno, ma le economie nazionali avevano un arbitro chiaro e con potere di veto, cioè lo Stato. Con la crisi di metà  degli anni Settanta, i vincoli vengono progressivamente allentati, fino alla completa deregolamentazione degli anni Ottanta. È in questo contesto che la finanza diventa l’ambito di una valorizzazione del capitale che la produzione non garantisce più. Avverte però Fumagalli che la centralità  della finanza si consolida attraverso una serie di «innovazioni», come i prodotti finanziari derivati che mettono in circolazione un capitale monetario che consente di garantire i flussi economici del regime di accumulazione capitalistico.
La finanza permette cioè di valorizzare non solo ciò che accade nel presente, ma quello che potrebbe accadere nel futuro. Da qui la centralità  della speculazione e del debito. La speculazione, perché il capitale può acquistare e vendere ciò che sarà  prodotto nel futuro, ma anche di scommettere sulla solvibilità  futura di una impresa o di uno stato nazione che si sono indebitate nel presente. Importante sono anche le voci incentrate sulle agenzie di rating, che hanno ormai il potere di condizionare e di imporre agli stati-nazione politiche di austerità  e di ulteriore cancellazione dei diritti sociali di cittadinanza. Agenzie che sono presenti nei consigli di amministrazione della banche salvate dalla bancarotta di quegli stessi stati «appesi» al giudizio dei «padroni del rating». Quasi a suggellare il fatto che il conflitto di interessi non è una anomali italiana, ma parte integrante del funzionamento stesso dell’economia. Andrea Fumagalli sottolinea inoltre il fatto che è anche il lavoro futuro ad essere ipotecato. I mutui subprime sono infatti mutui concessi a lavoratori precari, che hanno cioè un grado di solvibilità  molto basso.
Per rendere accettabile il rischio interviene la cartolarizzazione dei debiti contratti da singoli, imprese, banche e stati nazionali. Un milieu tra titoli tossici e titoli esigibili che contiene il rischio, ma che rende la finanza un momento fondamentale nella governance del regime di accumulazione. La crisi, scrive l’autore, interviene perché il meccanismo si inceppa e ogni soluzione proposta per garantire la continuità  del regime di accumulazione ne accentua invece la crisi.
Una volta spiegato il lessico economico dominante, Fumagalli introduce un felice intermezzo, sul signoraggio, cioè quel potere conferito alla finanza sull’«uomo indebitato», altra espressione divenuta nota nella recente discussione su come il debito stia diventando una forma specifico di controllo sul lavoro vivo e un dispositivo per generalizzare la precarietà  nei rapporti di lavoro.
Da qui la parte finale de Sai cos’è lo spread?, dedicata a un lessico di una rinnovata critica dell’economia politica. Sono le pagine più teoriche, e dunque politiche, del libro. Fumagalli infatti scrive di biocapitalismo, di cooperazione sociale, di welfare state, di precarietà , contestualizzando così la finanziarizzazione dell’economia con una tendenza propria del capitalismo a rendere la dimensione immateriale – affettività , conoscenza, sapere, quella che Giorgio Agamben chiama «nuda vita» – fattore centrale nel processo di valorizzazione.
Una rinnovata critica dell’economia politica che accetta la dimensione contingente, perché ha le caratteristiche di un processo di ricerca che non è ancora concluso, perché si nutre dei conflitti e delle forme di insubordinazione del lavoro vivo. Anzi, non c’è critica dell’economia politica se non si è «di parte». Come partigiano e condivisibile questo agile saggio.


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