«Renzi ha le nostre idee con insegne pd»

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BARI — Se sarà  lui a portarla avanti non l’ha svelato, perché ancora non lo sa. Ma quale dovrà  essere la linea del Pdl per i prossimi mesi e in campagna elettorale Silvio Berlusconi ha cominciato a dirlo. Prendendo le distanze da un governo che pensa troppo poco alla crescita, criticando l’accordo sul fiscal compact, annunciando che sarà  abolita l’Imu in caso di vittoria, martellando per la prima volta il portabandiera dell’antipolitica, Beppe Grillo, e soprattutto entrando a piedi uniti nel campo avversario, quello del centrosinistra: «Renzi? È bravo. Porta avanti le nostre idee sotto le insegne del Pd. Auguri. Se vincesse lui le primarie, si verificherebbe il miracolo della trasformazione del Pd in partito socialdemocratico».
Parole pensate e pesate, non certo frutto di improvvisazione, pronunciate davanti agli aficionados del Giornale che si sono imbarcati sulla Msc Divina per una crociera nel Mediterraneo che aveva come ospite d’onore proprio lui, il Cavaliere, salito a Venezia sabato, celebrato dai suoi supporters, e ridisceso dalla nave ieri nel primo pomeriggio a Bari, dopo aver concesso un’intervista pubblica al direttore Alessandro Sallusti. Evento off limits per i giornalisti esterni al quotidiano, ma poi diffuso via Internet e su Tgcom, un po’ come ai tempi delle videocassette della sua prima discesa in campo.
«Tonico», lo definiscono, allegro, lucido ma sempre indeciso sul suo futuro, il Cavaliere. A pranzo con i suoi interlocutori — tra i quali Paolo Bonaiuti e Sestino Giacomoni che lo hanno accompagnato e Raffaele Fitto che è salito a salutarlo —, ha spiegato che davvero è ancora presto per sciogliere la riserva sulla sua ricandidatura. E non solo perché, come ha ripetuto, «non si sa ancora quale sarà  la legge elettorale», e dunque le alleanze eventuali o obbligate. Ma anche perché chi vincerà  la partita del Pd suggerirà  le mosse anche nel campo avverso. Se fosse Renzi, è la quasi certezza che ha avuto chi gli ha parlato, Berlusconi lascerebbe campo libero a chi generazionalmente potrebbe contrastarlo, magari lo stesso Alfano che ha incensato davanti al pubblico: «È il migliore di tutti». Se invece a prevalere, come in fondo nel Pdl oggi pensano in tanti, fosse Bersani, allora il binomio Pd-Vendola guidato dalla «vecchia nomenklatura» lo vedrebbe più a suo agio: «Non lascerò il Paese alla sinistra, statene certi!», la sua promessa.
Anche per questo l’endorsement studiato (ma a suo modo sincero, perché il sindaco di Firenze gli piace davvero), ha un fine: spaccare il centrosinistra, marcare la candidatura di Renzi come «amica» per far esplodere le contraddizioni del Pd. In caso di vittoria del giovane candidato, il quadro «si rimescolerebbe del tutto», ma in caso di sconfitta, riprenderebbe il martellamento contro la vecchia sinistra di Bersani e compagnia che non cambia mai e che va combattuta a tutti i costi.
E allo stesso modo è arrivato il momento di affrontare a muso duro il fenomeno Grillo: «È uno straordinario attore comico, ma sta ancora facendo quel mestiere. Non ci si improvvisa amministratori di un Paese o di una città . Qualcuno scrive il copione a Grillo e lui recita come ha fatto per tutta la vita», ma quando un partito che «ad oggi è dato al 12%» dovrà  confrontarsi «con le regole della par condicio, quando dovranno sfidare me o Alfano, si vedrà  che governare è altra cosa».
Insomma, gli avversari sono già  nel mirino, ma anche sulle parole d’ordine della campagna elettorale Berlusconi affila le armi. Lo fa lanciando ufficialmente la promessa elettorale che era nell’aria: «Aboliremo l’Imu. La casa è un pilastro su cui ogni famiglia fonda il suo futuro», e bisogna liberare risorse per rimettere in moto un Paese che «ha bisogno di fiducia, di tornare a crescere». Per questo l’agenda Monti non sembra essere al momento nel suo orizzonte: «Le norme del fiscal compact impediscono la crescita, perché si impone ai Paesi che hanno più del 60% del debito pubblico di ridurre del 5% all’anno il debito pubblico. Significa che l’Italia deve ridurre il debito di 40-50 miliardi ogni anno, cosa assolutamente impossibile» in periodi di recessione, quando bisogna invece «abbassare le tasse». E proprio per questo, rivendica, da premier «ero visto male, nel Consiglio europeo rappresentavo l’opposizione a queste norme. E quando c’è stato da votare il fiscal compact io ho messo il veto dell’Italia e si è interrotta per due ore la riunione».
Fosse per lui, sarebbe tutt’altra la politica da portare avanti: bisogna continuare a battersi contro l’opposizione tedesca — «un mattone che pesa in maniera tragica» — di dire no alla possibilità  che la Bce batta moneta come fa la Fed negli Usa. E questo, condito dai complimenti a Draghi che ha fatto molto «per abbassare lo spread» e che lui spinse con vigore perché prendesse la guida della Bce anche se «avevo dei ministri contrari, mentre si dimostra quanto sia utile avere lì un italiano».


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