MESSICO Paura della democrazia

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Con un verdetto unanime farraginoso, riduzionista, privo di pulcritudine e segnato da una parzialità  ossequiosa, il Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federacià³n ha respinto il ricorso della coalizione del Movimento Progressista che chiedeva l’annullamento dell’elezione presidenziale e ha dichiarato Peà±a presidente eletto. Con maldestra precipitazione, un evidente abuso di forma e una rudezza superflua con accenni di burla, i magistrati hanno respinto tutte le impugnazioni presentate. L’imposizione ha vinto in maniera legale. E, come sei anni fa, assistiamo all’alibi della legalità  e a un osceno esercizio di autocelebrazione. A una nuova parodia istituzionale con attori di quarta categoria; a un altro episodio della politica come spettacolo.
Con il loro inequà­vocabile messaggio orwelliano, i magistrati hanno nuevamente ratificato che si può vincere con i trucchi e con le cattive e che il perdente deve accettare i risultati in nome della democrazia e dell’unità  nazionale, a rischio di essere catalogato come violento, respinto al margine della legge e criminalizzato. La novità , nella congiuntura, è stato che il presidente del tribunale elettorale Alejandro Luna Ramos e la sua cricca di obbedienti legulei hanno dovuto agire come una squadra di picchiatori. La loro và­ttima principale: Andrés Manuel Là³pez Obrador, il nemico ufficiale. E’ risultato chiaro anche che la missione del tribunale era quella di consumare l’assalto alla presidenza e rimettere la plebe stordita (Chomsky dixit) al proprio posto. E’ pericoloso che il popolo conosca la sua forza e voglia autodeterminarsi. La maggioranza deve rassegnarsi al consumo di fantasie e illusioni, non partecipare. La partecipazione è dovere degli uomini responsabili. Quello che hanno fatto questi giudici è un’operazione di addottrinamento e controllo del pensiero. Esperti in trucchi, con arguzie da quattro soldi hanno utilizzato la legge come strumento privato della dominazione egemonica. L’obiettivo? Nella transizione, cercare di mantenere al suo posto la moltitudine vociferante e testarda, incarnata nel Movimiento de Regeneracià³n Nacional di Amlo e nel movimento #YoSoy132.
Quelli che possiedono le ricchezze e dominano il Messico vogliono un pubblico disciplinato, apatico e sottomesso, che non questioni i loro privilegi e l’ordinato – anche se violento – mondo che sfruttano. E’ per questo che fondamentalmente, come insegna Noam Chomsky, le decisioni prese dai tribunali e dagli uomini di legge non sono dirette a garantire la volontà  popolare, ma a rafforzare la tirannia privata. A beneficiare il grande capitale come antà­tesi della democrazia. Come diceva John Dewey, finché ci sarà  un controllo sul sistema economico, parlare di democrazia è una farsa.
Il discorso autistico, cinico e classista dei magistrati, complici dell’Instituto Federal Electoral e della partitocrazia, ha mostrato il loro ruolo nel gioco: imporre Peà±a e minacciare la plebe. Non a caso le due prime parole di Peà±a Nieto nel ricevere il certificato di presidente eletto sono state “la legalità “. Il subcosciente l’ha tradito: sa di essere un unto illegale. Ora la sua missione sarà  quella di fungere da amministratore in uno Stato-balia del potere corporativo; un welfare state per i ricchi e i privilegiati. Questo non si discute, sebbene le maggioranze non arrivino a percepirlo in maniera evidente.
Durante gli anni del neoliberalismo le grandi imprese hanno tentato di minare e demolire gli ultimi residui dell’antico contratto sociale. Dopo due insuccessi parziali dei governi del Pan, oggi il compito è stato assegnato al cucciolo di dinosauro del Pri. La missione di Peà±a è quella di imporre le controriforme strutturali che mancano. Fra queste, quella del lavoro. E continuare a sussidiare o riscattare il grande capitale. In campagna elettorale, il bambolo di Televisa non poteva certo dire alle masse di lavoratori poveri e spoliticizzati – comprati dai suoi operatori con carte di credito Soriana e Monex-: ” Votate per me, voglio uccidervi e violentarvi” (come è successo, in un’operazione da lui comandata, con due ragazzi e 23 donne a San Salvador Atenco nel 2006), o: “Votate per me, voglio affamarvi e impoverirvi ancora di più”. Per questo è ricorso a una demagogia populista e a nuovi modi di oliare gli ingranaggi di un clientelismo politico narcotizzato.
Il nuovo Pri è il vecchio partito corrotto, verticale e autoritario della guerra sucia, la guerra sporca, e delle privatizzazioni, la cui sola realizzazione è stata aumentare il numero dei milionari e accelerare la riduzione dei salari e delle condizioni sociali. La storia è ancora fresca. Oggi, la mafiocrazia si ricrea. Ma il sistema di propaganda non vuole che la gente ricordi né pensi: potrebbe appropriarsi del governo e utilizzarlo come strumento di potere pubblico. Per questo la si infantilizza. Pretendono che la popolazione non si renda conto di niente. Che non si domandi, per esempio, come funzionano le grandi imprese, le banche e le borse valori. Come triangolano e lavano il denaro sporco che proviene dalle attività  illegali e criminali. E come, in occasioni come la attuale, queste risorse sporche servono per imporre presidenti docili, manovrabili, controllabili.
A volte, come adesso, i membri del Consejo Mexicano de Hombres de Negocios, del Consejo Coordinador Empresarial e altri sindacati corporativi si vedono obbligati a prendere la parola per rafforzare quella dei loro amanuensi. È ovvio che non stanno in affari per essere umanitari come la madre Teresa di Calcutta, e non è necessario cercare ragioni occulte. Fanno affari che aumentano i loro profitti e le loro azioni sul mercato. E in occasioni come la presente fabbricano presidenti che amministrino i loro interessi. Sepolta l’equità  e consumata la frode, dopo due sessenni del Pan che hanno approfondito il modello, il Messico transita verso una nuova fase di istituzionalizzazione di uno stato di tipo delinquenziale e mafioso.
* giornalista uruguaiano che vive in Messico


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