Ancora esodo e bombe su Bani Walid

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Migliaia di abitanti di Bani Walid continuano a fuggire dall’assedio e dagli scontri che da molti giorni oppongono milizie pro-governative, in particolare da Misurata, e il Consiglio di difesa della città . Le località  di Orban, Temesla e Wadi Mansour sono punti di transito dove si fermano soprattutto donne e bambini, ospitati in alcune scuole in condizioni di emergenza, con pochi pozzi e poche latrine. Ai fuggitivi la Croce rossa internazionale (Icrc) e la Mezzaluna rossa libica hanno distribuito 17 tonnellate di cibo e kit igienici.
Le modeste strutture ospedaliere di Bani Walid sono in emergenza per l’afflusso di feriti e la scarsità  di materiale medico. La Icrc è riuscita a entrare in città  per portare materiale medico all’ospedale e al policlinico Dahra solo due volte, il 10 e il 19 ottobre, per visite brevi e senza poter evacuare feriti, rispondono con un «no comment» alla domanda se il governo di Tripoli aiuti o no il loro lavoro. Ma il caso ricorda quello di Sirte un anno fa: anche allora gli assedianti boicottavano gli aiuti.
Sono scappati da Bani Walid anche 60 lavoratori indiani e bangladeshi: dopo un lungo cammino a piedi sono stati trasferiti a Tarhuna dalla Icrc. Stanno adesso certo meglio delle persone descritte nel recente rapporto Libia, mettere fine alla caccia ai migranti, redatto dalla Fédération internationale des droits de l’homme (Fidh) dopo una visita a 7 campi di detenzione, aTripoli, Bengasi e sulle montagne Nafusa.
Chiusi tutto il giorno in baracconi, sottoposti alle temperature estreme del deserto. Pidocchi e senza assistenza medica. Per cibo una ciotola di riso. Questa «condizione disumana e degradante» è riservata in Libia a migliaia di sub-sahariani, uomini donne e bambini anche molto piccoli, entrati per ragioni di lavoro senza permessi o fuggite da paesi in guerra. Non possono far ricorso ad alcuna istanza. L’Unione europea, dice la Fidh, se ne infischia.
Libici armati danno la caccia e arrestano i sub-sahariani sulla base dell’aspetto fisico. Sono i katiba, le milizie di ex ribelli, forse 200mila in numero, a imporre la legge. Una volta arrestati, i sub-sahariani, che vengono dal Mali, Nigeria, Chad, Sudan, Niger e Somalia, soni incarcerati per periodi indefiniti.Già  nel maggio 2011, in piena guerra Nato, la Fidh aveva invano denunciato la persecuzione subita in Libia da molti migranti sub-sahariani, intervistati in Egitto dove si erano rifugiati. Violenze, torture, umiliazioni, uccisioni.
Pretestuosamente i sub-sahariani erano additati come «mercenari stranieri di Gheddafi». Accusa rivolta anche ai neri di nazionalità  libica che fino all’anno scorso abitavano a Tawergha, città  di 30mila abitanti. Tawergha è stata saccheggiata e bruciata dalle milizie armate di Misurata, con un via libera da parte dell’ex premier Jibril. I suoi abitanti sono in campi profughi, o in prigione o scappati nel sud.
A Tripoli, Walid Jall, ingegnere ora senza lavoro, il venerdì porta agli sfollati di Tawergha qualche aiuto. Ci dice al telefono: «Cibo? Poco e niente»; assistenza legale? «Nessuna».
E il governo italiano? Il ministero di Terzi si è congratulato con il presidente del Congresso libico per le parole concilianti rispetto a Bani Walid…


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