Da 40 anni attaccati allo scranno la top ten degli onorevoli dinosauri

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ROMA — Volti bassi e passi veloci, sulla corsia rossa del Transatlantico. Poche anime e in pena e nessuna voglia di scherzare. Altro che festa delle primarie, tra i democratici. Altro che entusiasmo da nuovo partito, tra i berlusconiani. La ricreazione è finita. Fuori dal Palazzo, aria da bufera Cleopatra, dentro, il ciclone pare già  arrivato.
Dinosauri. Gerontocrati. Poltronisti. Bronto-eletti. Gli appellativi da qualche ora si sprecano, alcuni perfino un tantino ingenerosi, ma ci sono centinaia di parlamentari che da ieri incedono marchiati dal numero delle legislature che si portano sul groppone, dalle decine d’anni trascorsi in Parlamento. Sono quelli del “posto fisso” al banco di Montecitorio o Palazzo Madama. Ma la mossa del cavallo di Veltroni adesso li chiama in causa uno a uno. La gran parte resterà  lì, protetta dal probabile paracadute del 30 per cento di lista bloccata della futura legge elettorale. Scialuppa ideata dagli sherpa di Pdl e Pdl. La novità  è che tra qualche settimana, in campagna elettorale, per la prima volta da mezzo secolo a questa parte dovranno spiegare perché lo fanno. Perché ci stanno ancora loro, perché di nuovo.
Ora, sarà  pure un giochetto facile. Ma chi è andato a spulciare gli annali ha scoperto come nel maggio del 1972, quando un trentacinquenne sardo di nome Beppe Pisanu approdava alla Camera per la prima volta — e con lui un figlio d’arte come Giorgio La Malfa allora trentatreenne — presidente di Montecitorio fosse Sandro Pertini e Amintore Fanfani lo era al Senato. Quarant’anni fa giusto ora. Giulio Andretti dava vita appena al suo secondo governo. Pleistocene. Il senatore pidiellino adesso lavora alla costruzione del nuovo partito centrista. Il repubblicano ex berlusconiano, qualche giorno fa si sfogava su queste colonne lamentandosi del fatto che per la prima volta non ha «più un partito alle spalle: dovrò cercarmene uno. Ma sono gli elettori che decidono. Non c’è un’età  per la politica. Ed io sono sempre stato eletto». Indomiti. Se è per questo, fin dal 1987 i conti della Camera dei deputati sono gestiti in qualità  di amministratore di «condominio», ovverosia “questore”, dall’allora socialista brindisino Francesco Colucci, 34 anni di scranno all’attivo. Si era dimesso il governo Craxi, era sbocciato un altro governo Fanfani e Tozzi, Ruggeri e Morandi vincevano Sanremo con “Si può dare di più”. Che poi, se Pisanu e La Malfa sono i decani, a seguirli in terza posizione nella lista che qualcuno adesso definisce “nera” ci sarebbe Mario Tassone. Sconosciuto ai più perché poco televisivo deputato calabrese dell’Udc che però al collegio di Reggio conoscono bene. Risultato: 35 anni in Parlamento, uno in più di Colucci.
Il resto è red carpet per i big che ritroveremo tra un anno allo stesso posto. Salvo tzunami. Cicchitto 33 anni, Casini e Fini 30, Bossi 26, financo il “giovane” segretario leghista Maroni di lustri a Montecitorio ne vanta ormai più di quattro, forte delle sue 21 candeline dall’approdo del ‘92. Era sull’onda di quell’altra indignazione, di quell’altra tangentopoli. Ventuno, come Gasparri, La Russa e Calderoli. Il settantaseienne Silvio Berlusconi, pronto a rilanciarsi o forse a mollare, sta facenedo i conti anche con i suoi 19 da «professionista della politica». Non che l’affare riguardi solo la destra. A sinistra almeno si sono posti il problema. La questione generazionale è sollevata da Renzi e rilanciata ora dal contropiede di Veltroni. Livia Turco, dopo 25 anni, ha già  detto che si farà  da parte se lo faranno anche gli altri. Anna Finocchiaro, 25 anche lei, è in odore di deroga. D’Alema è finito nell’occhio del ciclone, coi suoi 23 anni di Montecitorio. Poco più dei 20 di Anna Serafini, consorte Fassino. E giù scendendo, ma sono 25 i dirigenti-parlamentari Pd con 15 e più anni all’attivo. A destra avrebbero poi un altro genere di problemi, dato che i 16 anni in aula del senatore Marcello Dell’Utri si intrecciano con la frequentazione di altre “aule”. Ma questa è un’altra storia.


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