Evasione fiscale boom come 10 anni fa colf, idraulici, falegnami: 60% in nero

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ROMA — L’Italia resta in «nero», come dieci anni fa. Nonostante l’impegno nella lotta all’evasione fiscale di Agenzia delle entrate e Fiamme Gialle le ultime rilevazioni indicano che c’è ancora molto da fare. Secondo il Rapporto Eures pubblicato ieri, che si basa sulle opinioni di un campione di cittadini al quale è stato chiesto di dire, in base alla propria esperienza di pagamenti, chi evade di più e come, la situazione non è cambiata rispetto all’inizio del decennio. Anche per questo motivo il 70 per cento degli italiani è favorevole alle manette per gli evasori.
Chi sono i più incalliti? Secondo l’esperienza del campione, composto da 1.225 italiani, la maggiore frequenza di comportamenti fiscali irregolari tocca ai professori che impartiscono ripetizioni casalinghe: il tasso di evasione è dell’89 per cento. Ma è nella galassia dell’artigianato che si cumula la maggioranza delle categorie inclini all’illegalità : in testa i giardinieri con un tasso del 67,3 per cento, seguono il falegnami (62,8 per cento commette irregolarità ), gli immancabili idraulici (62 per cento). Più indietro nella classifica la cosiddetta «filiera dell’automobile»: i carrozzieri sono al top con il più contenuto 40,6 per cento e l’Eures spiega che la presenza dei centri di assistenza delle case-madri e la mediazione delle società  di assicurazioni nelle riparazioni, contribuiscono a porre un freno all’evasione.
E le altre categorie? Dal Rapporto – che ne prende in considerazione 52 – risulta che è in nero il 60 per cento dei servizi alla persona, dalla colf alla baby sitter. Mentre tra i professionisti la palma d’oro spetta agli avvocati (42,7 per cento), seguiti dai geometri, dagli psichiatri, dagli architetti, dai dentisti e dai medici. Chi evade lo scontrino? Naturalmente in testa ci sono i bar (17,8 per cento), seguiti dai venditori di materiali edili, pub, pizza al taglio, pasticceria.
Un fenomeno preoccupante che, come ha spiegato ieri il presidente della Corte dei Conti Giampaolino, intervenendo alla Commissione Finanze del Senato, pone l’Italia ai «primissimi» posti nella classifica mondiale dell’evasione. Peggio di noi stanno solo Turchia e Messico. Tirate le somme, infatti, solo «tra Iva ed Irap il minor gettito lordo stimato dovuto all’evasione ammonta a oltre 46 miliardi l’anno» mentre nell’area che resta fuori (Irpef, Ires, altre imposte sugli affari e contributi previdenziali) «si collocano forme di prelievo che lasciano presumere tassi di evasione non molto dissimili » rispetto a quelli di Iva e Irap. Qual è il danno provocato all’Italia? Se l’evasione italiana dal 1970 fosse stata pari al livello statunitense (inferiore di 3 punti) il debito pubblico sarebbe stato, dopo vent’anni anni, molto più basso (76 per cento del Pil invece di 120 per cento) e l’aggiustamento necessario per riequilibrare la finanza pubblica «molto meno impegnativo».


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Come si può crescere davvero

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Nella sua lunga conferenza stampa di fine anno, Mario Monti ha più volte ribadito che non può esserci risanamento senza crescita. Le cifre gli danno ragione: ogni punto in meno di crescita comporta circa mezzo punto di pil di deficit in più, sette miliardi e mezzo aggiuntivi da reperire se si vuole rispettare l’obiettivo del bilancio in pareggio. Ed è vero anche il contrario: la riduzione dell’incertezza sul futuro dell’economia italiana stimolerebbe la crescita dando un grande impulso agli investimenti. Proprio per questo non ha senso alcuno parlare di una fase due nell’azione di governo. Le misure per lo sviluppo, che vengono ora annunciate per metà  gennaio, avrebbero dovuto essere varate contestualmente alla manovra per venire approvate prima di Natale. Era quanto previsto, tra l’altro, dagli impegni sottoscritti dal nostro paese in sede europea. A questo punto non possiamo permetterci ulteriori ritardi. 
Non c’è fase due anche perché continuiamo ad essere in piena emergenza e dobbiamo dare forti segnali ai mercati prima delle aste di febbraio. Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un forte calo dei rendimenti alle aste del Tesoro sui titoli a breve scadenza, accompagnato però da un ampliamento dello spread sul mercato secondario, nonostante i continui interventi della Bce. L’impressione è che molti investitori istituzionali vendano i nostri titoli di Stato prima delle aste per poi riacquistarli alle nuove emissioni soprattutto sulle scadenze più brevi, anche perché non troppo velatamente invitati a farlo. Queste operazioni possono contribuire a contenere la crescita del costo medio del nostro debito pubblico (che paga i rendimenti delle aste), ma peggiorano la posizione patrimoniale delle banche che sono giustamente costrette a valutare i titoli in portafoglio alle condizioni del mercato secondario. 
L’indice degli interventi prospettati dal presidente del Consiglio due giorni fa è condivisibile. Le liberalizzazioni e le riforme che riducono il dualismo del mercato del lavoro stimolando gli investimenti in formazione sul posto di lavoro servono per fare aumentare la produttività .

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