La svolta (lenta) della mediazione Una professione da quarantenni

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Le novità  sono in cammino ma gli ostacoli si rivelano forse più resistenti del previsto. «Innestata su una cultura giuridica fortemente Statocentrica, la mediazione all’italiana si è subito trovata ad affrontare un percorso difficile, sebbene caratterizzato da un costante favore dell’autorità  politica e del mondo delle Camere di commercio». L’indagine Aaster, che è stata commissionata da Unioncamere, si è avvalsa di un doppio campione: 50 interviste di profondità  a esponenti del mondo camerale e un questionario rivolto a circa 1.200 professionisti suddivisi tra mediatori e non mediatori.
Cominciamo dalla fotografia dei nuovi mediatori, oggi stimati nel numero di ben 40 mila. «Anche se la domanda cresce sebbene non in maniera sufficiente, il ruolo del mediatore rimane culturalmente sospeso, stretto tra la forza delle culture professionali di provenienza e l’ancora debole formalizzazione di un proprio sapere scientifico». Il 58,6% proviene dall’avvocatura, il 21% è commercialista e il 15,7% appartiene ad altre professioni. Donne e uomini sono fifty fifty mentre il 38,6% è fatto di quarantenni, il 21,9% di cinquantenni e l’11% è di over 60. Più di un terzo, il 37,5%, ha scelto di fare il mediatore per idealismo coltivando obiettivi di riforma sociale, solo il 19,9% professa espliciti obiettivi di guadagno e carriera. Il 3,6% ammette di aver fatto il mediatore per ripiego. Con il passare del tempo, annotano i ricercatori, il profilo idealista lascia via via il passo a un approccio più pragmatico. Complessivamente però la figura del mediatore, secondo Bonomi, si presenta ancora a debole professionalizzazione, solo il 5% esercita il ruolo in via esclusiva e la formazione è giudicata ancora insufficiente. Tra i mediatori, poi, il 60,9% si dichiara poco o per nulla soddisfatto del suo livello di retribuzione.
Ma il vero problema, secondo la ricerca, è che accanto alla ridotta professionalizzazione in questi mesi lo strumento della mediazione non è riuscito ancora a conquistarsi una sua legittimità , non c’è solo scarsa conoscenza dovuta ai tempi ridotti ma anche poca fiducia. Non va sottovalutato che la novità  legislativa è di fatto coincisa con una congiuntura temporale in cui «tutto il sistema del professionalismo fondato sugli Ordini si sente minacciato dai processi di liberalizzazione». Di conseguenza la mediazione all’italiana, se ha fatto dei passi in avanti, non li deve a un processo di persuasione/affermazione dall’alto ma dall’azione dei corpi intermedi, la società  di mezzo e le autonomie funzionali, che si sono caricati sulle spalle il nuovo istituto legislativo e lo hanno utilizzato nel sistema locale e nella risoluzione di una miriade di micropratiche. Commenta Bonomi: «Del resto oggi viviamo in società  caratterizzate da una cultura della negoziazione continua in cui il contratto non è una cornice predefinita, stabile ma costituisce una sorta di sperimentazione continua delle relazioni tra gli individui».
Ma come hanno reagito nel concreto gli Ordini professionali alla novità  della mediazione? Dopo una prima forte resistenza promossa dagli avvocati, che hanno visto questa battaglia come parte della resistenza antigovernativa e anti liberalizzazioni, oggi le posizioni sono più articolate. Nelle grandi città  l’ostilità  è stata più forte con punte di radicalità  tra gli avvocati e non tra commercialisti e notai. In provincia alcuni Ordini hanno avuto un atteggiamento più pragmatico. Comunque due terzi dei professionisti ritiene ancora che la mediazione peggiorerà  le condizioni di lavoro, la deontologia e la remunerazione mentre solo il 26,3% pensa che favorirà  la modernizzazione delle professioni. Il 72,5% bolla la novità  come adatta agli anglosassoni e non a noi. Ma proprio l’ostilità  più o meno dichiarata degli Ordini ha fatto sì che la comunicazione decentrata verso i propri iscritti non sia stata attivata. Diverso l’orientamento delle associazioni dei consumatori che l’hanno sostenuta come strumento di democrazia ma, conclude l’Aaster: «oggi sul piano delle vertenze del consumo i costi dell’accesso alla mediazione spesso sovrastano l’entità  della controversia di fatto scoraggiando il ricorso alla mediazione». Il cammino da fare, dunque, è ancora lungo.


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