La Turchia risponde col fuoco alla Siria

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GERUSALEMME — La Turchia colpita dalle bombe siriane reagisce, e per la prima volta batterie dell’esercito di Ankara hanno risposto al fuoco bombardando obiettivi militari in Siria. La tensione è salita pericolosamente lungo il confine in Asia minore, dopo che ieri mattina colpi di mortaio sparati dal territorio siriano sono caduti oltre confine su un villaggio turco facendo una strage. Un’intera famiglia, la madre con i suoi 4 figli sono rimasti uccisi dalle esplosioni dei razzi siriani che hanno sventrato la loro casa, altre 13 persone — tutte civili — sono rimaste ferite nella cittadina turca di Akcakale, nei pressi del valico di Tall Abyad, di recente conquistato dai ribelli siriani ma ancora teatro di combattimenti. È il più grave incidente fra i due Paesi, da quando a fine giugno un caccia turco venne abbattuto “per errore” al largo delle coste siriane dalla contraerea di Damasco, portando già  allora i due Paesi molto vicini a uno scontro armato. Ieri per la prima volta le batterie turche hanno aperto il fuoco contro alcuni obiettivi siriani come reazione immediata. È l’ufficio del premier Erdogan a far sapere in serata che «l’artiglieria nella zona ha reagito colpendo obiettivi identificati con i radar». Ieri sera il regime siriano ha rotto il silenzio, promettendo un’indagine sulle cause dell’incidente e rivolgendo le condoglianze al popolo turco per le vittime del bombardamento. Il ministro dell’Informazione Omran Zoabi ha detto che «la Siria rispetta la sovranità  dei Paesi vicini e chiede a Stati e governi di agire con saggezza e razionalità ». Una posizione che non soddisfa né Turchia né Nato né gli Stati Uniti, a cui il governo di Ankara si è rivolto. Il parlamento turco sta discutendo se autorizzare azioni militari in zone del territorio siriano a ridosso della frontiera comune.
La rappresaglia turca è stata decisa dopo un vertice convocato d’urgenza dal premier Recep Tayyip Erdogan, deciso sostenitore dei ribelli sunniti anti-Assad in Siria, con i suoi principali collaboratori, il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu e il capo di Stato maggiore Necdet Ozel. Davutoglu ha avuto un lungo colloquio telefonico con il segretario Onu Ban Ki-Moon, che gli ha raccomandato di cercare di far scendere la tensione, con il mediatore sulla Siria Lakhdar Brahimi e con il segretario Nato Anders Fogh Rasmussen. Dopo l’incidente del caccia in giugno Ankara aveva chiesto una riunione urgente della Nato, senza però invocare l’articolo 5 del Patto Atlantico, quello che vincola tutti i Paesi dell’Alleanza a “proteggere” il Paese attaccato dall’esterno. Secondo il vicepremier turco Bulent Arinc l’episodio «esige una risposta secondo il diritto internazionale. È la goccia che fa traboccare il vaso e risponderemo ». Nella notte la Turchia ha ricevuto la solidarietà  e l’appoggio del Consiglio di Sicurezza Onu riunito d’urgenza e una ferma condanna dell’accaduto dal vertice della Nato convocato ieri sera a Bruxelles.
Il margine di manovra del premier turco è limitato. Una reazione militare potrebbe condurre ad una internazionalizzazione della crisi siriana, con conseguenze esplosive per tutto il Medio Oriente. Damasco inoltre possiede un temibile arsenale chimico che non esiterebbe a usare in caso di intervento straniero nella crisi come ha già  più volte minacciato. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha espresso «indignazione» per l’attacco dell’esercito siriano, anticipando che gli Stati Uniti «discuteranno con Ankara il modo migliore di procedere ».


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