MARCELLO CINI Un ottimo cattivo maestro

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Marcello Cini lo conobbi prima come professore, al terzo anno, quando dall’ottobre del 1968 seguii il suo corso di Istituzioni di fisica teorica. Parlava molto lentamente, con quel tossicchiare a scandire le frasi che avrei imparato a conoscere così bene, e all’inizio trovavo noiose le sue lezioni. Col mio sugardo di 21-enne lo trovavo vecchio. Aveva 45 anni ed era nel pieno fulgore della sua maturità . Non sapevo quanto le nostre vite sarebbero state intrecciate.
Infatti nel gennaio di quello stesso anno erano iniziate le agitazioni studentesche a Roma, che erano culminate il primo marzo con quella che fu chiamata «la battaglia di Valle Giulia» ma che continuarono per tutto l’anno successivo. L’istituto di fisica Enrico Fermi fu uno dei centri del movimento romano, insieme a Lettere e Architettura. Leader del movimento erano giovani fisici, assistenti e borsisti, che nel decennio successivo avrebbero seguito traiettorie diverse: Franco Piperno, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Sandro Petruccioli, Mimmo De Maria. E, quando tornò dal suo anno sabatico a Parigi, Marcello fu l’unico ordinario a interloquire con noi, anche a polemizzare, ma stando sempre dalla nostra parte, lui che era noto per la sua militanza nel Partito comunista italiano (da cui sarebbe stato radiato dopo pochi mesi, nel 1969, insieme a tutto il gruppo della rivista il manifesto).
Poi Marcello fu il mio direttore di tesi e dopo la laurea si adoperò perché divenissi borsista nel suo gruppo di ricerca teorica. Quando abbandonai la fisica e andai a studiare sociologia a Parigi, negli anni Settanta, ogni volta che veniva sulla Senna, ci vedevamo, cenavamo insieme con la sua (allora) nuova compagna, Agnese. Poi, nel 1980 per le peripezie della vita, venni a lavorare nel quotidiano di cui Marcello era stato uno dei fondatori e dalle cui colonne ora vi sto scrivendo. Ancora, il figlio di Marcello, il regista Daniele Cini, aveva vissuto per anni nella stessa casa della nostra indimenticata Carla Casalini, e la sua perdita nel 2008 ci ha stretti alla sua figlia Gaia.
Non solo, ma negli anni Settanta Marcello aveva animato un gruppo di fisici teorici (di cui oltre a Marcello facevano parte Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio) che avrebbe prodotto l’unico contributo italiano davvero rilevante alla filosofia della scienza, e cioè L’ape e l’architetto (Feltrinelli 1976, ripubblicato con rivisitazioni degli autori presso Franco Angeli nel 2011). Era la prima volta in Italia che a discutere di neutralità  della scienza erano scienziati professionisti.
Fino al fine anni Sessanta infatti la sinistra italiana era stata scientista, d’istinto e di convenienza. Lo scientismo era l’orizzonte filosofico più comodo per coniugare insieme emancipazione sociale e progresso tecnologico, razionalismo antisuperstizioso e laicità . Una versione paludata di quello slogan «Soviet + elettrificazione» in cui cui Lenin aveva condensato tutto il comunismo. Sul versante opposto, le critiche alla scienza venivano tutte da un orizzonte irrazionalista, poetante, nietzscheano, aborrente i numeri («la legge di gravità  non renderà  mai conto della poesia della luna di notte») e la rivendicazione di un’ineffabilità  sostanziale del mondo.
Ma già  dal sottotitolo, Paradigmi scientifici e materialismo storico, i quattro autori rimescolavano le carte ed esplicitavano il loro obiettivo: affrontare la non-neutralità  della scienza, la sua storicità , non dalla prospettiva di un irrazionalismo di destra, ma da sinistra e dall’interno del razionalismo. Non a caso i quattro autori avevano tutti partecipato in modi diversi al ’68.
E ci voleva la carica eversiva del ’68 per poter formulare – contro tutto l’establishment accademico e contro la corporazione degli scienziati, in primis dei fisici – una visione storicizzata della scienza. Per poter cioè dire che la scienza è prodotto storico, come ogni altra attività  umana, e in quanto tale condizionata dalla società  in cui viene esercitata. Fino ad allora aveva prevalso la tesi che la scienza di per sé è neutra e a-storica, anche se il suo (buono o cattivo) uso può essere determinato dal contesto sociale. L’ambizione dell’Ape era invece quella di mostrare che la correlazione tra società  e ricerca scientifica penetrava fino nelle teorie e nei concetti. Un’ambizione che valse al libro una levata di scudi sul genere becero «la legge di gravità  fa cadere i corpi allo stesso modo in un regime socialista e in uno capitalista».
Fu proprio la non neutralità  degli stessi concetti scientifici a indirizzare il lavoro giornalistico e di ricerca che facemmo sul manifesto per tutti gli anni ’80 sulle pagine culturali e sul supplemento monografico settimanale la talpa. Un lavoro cui partecipavano tra gli altri Michelangelo Notarianni, Franco Carlini, Danielle Mazzonis.
Certo Marcello, non sempre andavamo d’accordo tu e io: per esempio non condividevo la sua passione per Bateson, ma è certo che il confronto intellettuale sui temi che ci arrovellavano entrambi ha stimolato la mia mente, come quella di tanti altri, e ci ha consentito di non assopirci nel generale letargo della ragione che ha colpito la nostra società .
E come apprezzammo nel 2007 la lettera che dalle colonne del manifesto scrivesti (insieme ad alcuni altri docenti tra cui Giorgio Parisi) al rettore dell’università  La Sapienza di Roma per far annullare la lectio magistralis di Benedetto XVI!
Una vita lunga e invidiabile la tua Marcello: non solo sei sempre stato un bellissimo uomo, ma hai fatto un bellissimo lavoro, quello di fisico teorico, hai visitato terre lontane (come quando nel 1967 andasti in Vietnam e in Laos, sotto le bombe americane, come membro della giuria del Tribunale Russell), hai avuto una miriade di amici intelligenti che ti amavano, eri stimato, hai militato per una società  migliore, hai contribuito a fondare il manifesto, hai stimolato la discussione filosofica italiana, hai goduto i piaceri della vita. Come scrisse Catullo a suo fratello: et in perpetuo salve atque vale.


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