Monti sferza i partiti: governo maledetto ma più gradito di loro

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ROMA — A Bersani il plurale non piace, ma Monti non abbandona il suo schema: preferisce parlare di una categoria unica, indistinta e non proprio popolare in questo periodo, almeno fra gli elettori, «i partiti». Lo fa ormai da molti mesi, ma ieri più che in altre occasioni è stato chiaro nel definire una gerarchia, ovviamente rispetto ai tecnici del governo che presiede.
Ecco come la pensa il presidente del Consiglio: da una parte ammette di aver fatto errori, di meritare alcune maledizioni, perché indubbiamente esiste «a bloody government», un esecutivo da maledire, ironizza, ma non tanto, davanti agli economisti del World Economic Forum. Dall’altra parte, aggiunge subito dopo, i partiti non stanno meglio, visto che Palazzo Chigi ha «un livello di gradimento molto più elevato».
A Villa Madama, di prima mattina, davanti al governatore di Bankitalia, ai ministri Passera, Severino e Fornero, ad alcune decine di imprenditori, il capo del governo fa un bilancio delle riforme approvate, racconta quanto fatto dall’Italia in sede europea, guarda i grafici che descrivono i gap del nostro Paese in termini di competitività . Ma dai numeri ad una risposta a chi l’attacca, o lo ritiene responsabile della recessione, il passo è breve.
I partiti, sempre loro, non solo non sono più popolari del governo, ma sembrano non aver compreso una delle lezioni di questa stagione: «Abbiamo fatto cose molto sgradevoli e spiacevoli, sia per chi le ha subite che per chi le ha fatte, la percezione del popolo di questo maledetto governo non è rosea», eppure è dimostrato che il consenso non ne risente, anzi.
Insomma si può lasciare un messaggio, dai numeri dei sondaggi si ricava un insegnamento che in Italia non è mai stato apprezzato fino in fondo, un dato «importante per i politici che governeranno il paese». Ovvero: «Non crediate che non potete fare le politiche giuste perché altrimenti perdereste consensi».
Fiducioso sull’approvazione della legge sulla corruzione, che dovrebbe arrivare oggi e che sarà  «un passaggio importante per scalare qualche altro posto» nella classifica internazionale della competitività , Monti aggiunge un collegamento fra «l’opera di modernizzazione» del Paese e l’essere costretti a «governare in emergenza»: la seconda cosa non è poi tanto male, è necessario correre e si fanno più cose, dice alla platea.
A Villa Madama si fanno i paragoni fra le economie europee e quelle degli altri sistemi, statunitense in primo luogo: secondo il Wef l’Europa non ha nulla da «importare» o da imparare, visto che in termini di competitività  ha punte di eccellenza insuperate. Aggiunge Monti, che apre i lavori: la Ue riuscirà  a «uscire dalla crisi solo quando sarà  capace di tornare alla crescita», naturalmente una crescita «coerente con la disciplina di bilancio». In questo quadro, rivendica, l’esperienza delle riforme italiane è «considerata come uno specchio, una prospettiva interessante anche per le sfide a livello europeo».
Alle dieci del mattino il capo del governo lascia Villa Madama e si trasferisce nel Salone delle Feste del Quirinale, dove si celebra il 150° anniversario dell’istituzione della Corte dei Conti. È un’occasione per un saluto con Gianni Letta, poi per una lunga conversazione con Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio il Consiglio dei ministri, che proseguirà  oggi.


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