Il più grande blogger del mondo

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PECHINO. In Cina è tempo di burrasca, c’è il passaggio del potere e si capisce. Anche quella che si considera un’irriverente star della giovane letteratura cinese, dopo aver offerto «un’intervista in esclusiva per l’Italia» fatica a rispondere ad alcune, pur innocue, domande. Prima declina con educazione tutta orientale un incontro dal vivo, poi chiede venti domande scritte, quindi sparisce per due settimane (deve partecipare a un rally, sua grande passione) e infine risponde solo a quelle che «non mi costringono a parlare di politica». Due anni fa, quando era un outsider, era più divertente. Han Han si presentava come l’autore cult della generazione dei figli unici e spiegava che se la Cina non avesse abolito la censura «ai cinesi sarebbero rimasti solo tè e panda». Tuonava contro la corruzione dei funzionari, esattamente come fa oggi il presidente del Partito comunista riunito in congresso Hu Jintao, e osava dire che «l’unica cosa che accomuna i vecchi tecnocrati del partito con i giovani cinesi, ormai sono le fidanzatine di vent’anni».
Adesso che ha compiuto trent’anni e che è misteriosamente diventato «il più grande blogger del mondo», se non altro per numero di clic, l’ex ragazzo di Shanghai si è fatto più prudente. Lo si può anche capire. Fino a diciassette anni era soltanto uno studente insoddisfatto che «leggeva un sacco di libri», come scrive il padre Han Rejun nel suo libro dal titolo significativo, Mio figlio Han Han.
Poi vince concorsi letterari con i suoi racconti e un editore decide di pubblicare il suo primo romanzo, Le tre porte, scritto quando era ancora uno studente e poi tenuto nel cassetto («versione emendata», secondo il padre). Il successo è immediato: due milioni di copie, inviti in tv e finalmente la scoperta di Internet che lo rende uno dei personaggi più famosi della Repubblica Popolare. Oggi Han Han vende milioni di copie di romanzi destinati ai giovani che in patria non si sentono troppo bene (il suo
Verso Nord esce ora in Italia per Metropoli d’Asia); aggiorna un blog di futilità  profonde che ha raggiunto il numero sbalorditivo di 580 milioni di pagine lette, oltre un milione al giorno; si è regalato un bolide da rally con il quale, lo scorso anno, ha trionfato nel campionato nazionale; ha una bella moglie, e una figlia piccola. Nel 2010, Timelo ha inserito nella lista dei personaggi più influenti del mondo. Nessuno, oltre la Grande Muraglia, lo aveva mai sentito nominare. E invece il rallysta-blogger-scrittore si è piazzato secondo per i lettori e ventiquattresimo per i giurati internazionali. Va bene, Lady Gaga l’ha bruciato. Ma lui s’è lasciato dietro James Cameron, gli U2, e un paio di compatrioti che presto, diventando famosi, non sarebbero stati più a piede libero: il dissidente premio Nobel Liu Xiaobo e il leader neomaoista Bo Xilai, colpevole di comunismo. Va bene l’ironia: ma perché rovinarsi la vita dicendo ciò che pensa davvero a un giornale europeo, proprio nei giorni del congresso del Partito?
Così l’icona della nuova trasgressione cinese, che i media mondiali amano descrivere come «sempre in equilibrio sul filo di un dissenso camuffato da sberleffo», nelle sue risposte a Repubblica di Cina parla poco o niente. Confessa invece che si alza a mezzogiorno, che legge i giornali, che passa il pomeriggio con gli amici e di notte sta con la sua famiglia. «Ho queste belle abitudini — dice — perché non ho grandi piani di scrittura. Ciò che uno scrittore vuole esprimere è in realtà  molto limitato e non ho bisogno di scrivere falsità  per guadagnarmi la pagnotta». È questo “il blogger che spaventa la Cina” di cui parlano i giornali di mezzo mondo? È chiaro che i suoi testi vengono riletti dai puristi del potere e che la sua casa è discretamente controllata. Ma la versione di Han Han è un’altra: «La mia vita è molto tranquilla e il funzionario di rango più elevato che abbia incontrato potrebbe essere a malapena un capo di contea».
Quanto al numero di clic, è ovvio che con oltre mezzo miliardo di surfer sempre sull’onda qui chiunque, con mezza dose di talento, può schizzare nella hit-parade del mi piace. Ad Han Han, però, va riconosciuto che, per incarnare sogni, trionfi e fallimenti di una generazione per la prima volta sola e per la prima volta ricca, non ha accettato solo di diventare il testimonial di una multinazionale di cibi zuccherati: insiste sulla via dell’originalità  e cerca di esprimere quel poco che la Cina sta diventando vivendo tutti gli eccessi di ragazzi-vittime sempre più vuoti. Senza troppe, dichiarate ambizioni. «Rappresento solo me stesso — ci dice — e quando i miei blog vengono cancellati dal regime non provo niente». Suona deludente, ma dietro un ragazzo gentilissimo in jeans, maglietta e guanti da pilota anche per impugnare i bastoncini per gli spaghetti, sfila prodigiosamente la futilità  non troppo ostile del brusio online che accompagna oggi una nazione incitata a disprezzare il modello occidentale che follemente ama. «Tornassi indietro — dice — rifarei tutto, ma vorrei conoscere meglio il mondo. Molti cinesi sognano oggi di diventare funzionari per diventare ricchi, anche se poi criticano le ingiustizie: ma se tutti parlano di sogni è perché presto si sveglieranno molto lontani dai sogni che avevano da ragazzi».
Se c’è un luogo comune che irrita Han Han è la critica contro vizi e apatia degli adolescenti. «Non è colpa loro, gli adulti devono smetterla di usare i capelli dei bambini come carta igienica ». Poi passa a dire distrattamente che la «cosiddetta vita va passata con la famiglia e con gli amici», che se dovesse andarsene da Shanghai sceglierebbe Taiwan oppure Hong Kong e che l’Italia sì, la conosce bene. «Le Ferrari — quasi si commuove — i pezzi di ricambio per le auto, le squadre di calcio. So di essere banale, ma ho pur sempre girato più di un volante».
È così Han Han. E la sua forza sta nel non rivelare mai se si diverte a prendere in giro, oppure si impegna a fare sul serio. La verità  è che non l’hanno mai arrestato e che nella Cina della censura è un formidabile caso di successo. Eppure, in giorni leggeri, gli scappa anche di dire che «l’arte vale se sbugiarda le miserie del potere», o che i deputati cinesi sono «la versione taroccata di un’imitazione», o che «la Cina senza contraffazione non esisterebbe». I critici rispondono che è Han Han a non esistere, che è un prodotto commerciale inventato dal regime per sottolineare la propria tolleranza e che i suoi testi sono scritti da altri. Però è curioso: la Cina lo segue e il resto del mondo anche. Tutti in fila dietro al nulla? La versione di Han Han è questa. Vestito da star del pop di una boy band sudcoreana, con un codone nero fino al mento, ha ascoltato seriamente una presentatrice che lo implorava di dire qualcosa sulla Cina ai milioni di teenager che lo adorano. «Non ho niente da dire — ha sussurrato — non sono un esempio per nessuno».


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