L’altolà del Quirinale agita i partiti
ROMA — Sarà arduo per i partiti prescindere dal monito del capo dello Stato riguardo alla terzietà di Mario Monti. Con diverso grado di allarme le parole di Napolitano hanno scatenato interpretazioni e interrogativi preoccupati tra quei centristi che sperano in un endorsement del premier. Come ammette Isabella Bertolini, pidiellina in fuga verso un centro montiano, «la figura del professore è strategica, il suo nome fa la differenza».
Non a caso alle otto di sera, dopo una tormentata riflessione, Pier Ferdinando Casini affida a Facebook una dichiarazione cauta nei toni, quanto determinata nel contenuto: «Noi presenteremo una lista che si richiamerà espressamente al lavoro politico del Governo Monti. Saranno gli elettori a giudicarne l’indice di gradimento». Un modo abbastanza esplicito per dire che i centristi dell’Udc, da sempre più montiani di Monti, non intendono rinunciare al «brand» che potrebbe fare la differenza in campagna elettorale.
La posizione del Quirinale scompagina i giochi al centro e spinge il Pdl a rielaborare la tentazione di affidare al premier la guida del centrodestra, ipotesi caldeggiata dal fronte riformista di Frattini, Gelmini, Lupi e, sembra, soppesata anche da Alfano e Berlusconi. «Indicare Monti come federatore è una opzione in campo», conferma Stefano Caldoro. Ma adesso è tutto da rifare. Nell’entourage di Montezemolo gli avvertimenti di Napolitano hanno aperto dubbi e interrogativi. Il leader di Italia futura ha promesso che mai chiederà a Monti di mettersi alla guida del suo movimento, il che consente a Carlo Calenda di dire che non è certo Montezemolo a tirare la giacchetta al premier: «Salvaguardarne la terzietà è giusto e doveroso». Ma è evidente che il richiamo di Napolitano pone un problema a chi sperava nell’appoggio esplicito di Monti. Può il Quirinale impedire che il nome del premier venga usato per scopi elettorali? E che risultato avrebbe nelle urne un movimento privo dell’imprimatur di Monti?
Le domande a cui i «civici» di Montezemolo cercano risposta sono tante. Prova ne sia lo scrupolo con cui il ministro Andrea Riccardi, ospite di Lilli Gruber in tv, ha affrontato l’esegesi del passaggio dove il Colle indica il «diritto o la facoltà » dei partiti di ricorrere al premier dopo il voto, confermando l’intenzione di dare all’agenda Monti «un seguito anche elettorale». Il solo partito che al momento sembra in grado di trarre profitto dal pronunciamento di Napolitano è il Pd. Bersani ha ammesso quanto le parole di Napolitano gli siano «piaciute» e si è detto pronto a «puntare un centesimo sull’ipotesi che Monti vada al Quirinale». Le ripercussioni nei giochi tra (e dentro) i partiti saranno inevitabili. Linda Lanzillotta, vicina a Montezemolo, rimprovera al Pdl di aver cercato di «usare Monti come salvagente per poi tirarlo a fondo». E Marco Follini (Pd) dice che «Monti non ha bisogno né di chi gli stende il tappeto rosso, né di chi gli mette paletti». Il messaggio di Napolitano sembra aver scombussolato le relazioni tra Casini e Montezemolo. Ai piani alti dell’Udc non nascondono una punta di soddisfazione, nella speranza che lo stop del Colle ridimensioni le aspettative dell’alleato naturale. Roberto Rao è diplomatico, quanto esplicito: «Noi siamo attrezzati per giocarcela anche se Monti non è in campo…». E Ferdinando Adornato: «Aspettiamo la legge elettorale e lo scioglimento delle Camere, poi si vedrà ». Dopo il voto, sperano i centristi, tutto sarà possibile. E anche se il premier starà alla larga dalla sfida elettorale, Benedetto Della Vedova (Fli) invita i montiani a unire le forze, in forza del programma: «Nulla esclude che dopo il premier venga richiamato…».
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