“Alitalia non tornerà allo Stato ma non sarà più indipendente”
MILANO — «Alitalia non è sull’orlo del baratro. Ok, è nata sottocapitalizzata e ha una liquidità un po’ tirata. Ma sta molto meglio di quattro anni fa. È sana, ha investito sul prodotto e non ha distrutto, anzi, ha creato posti di lavoro». Un salvataggio dello Stato? «Non serve e non ho mai incontrato nessuno della Cdp». Un salvataggio a prezzi da saldo da parte di Air France? «Fatico a immaginare per la compagnia un futuro indipendente. E certo avremmo grande beneficio a far parte di una realtà più grande. Detto questo abbiamo diverse opzioni e quando saranno mature decideranno gli azionisti». Alitalia vola in cieli turbolenti. Nei quattro anni sotto la bandiera della cordata dei patrioti ha perso 735 milioni e ha bruciato due terzi del capitale rendendo (quasi) inevitabile una ricapitalizzazione.
Andrea Ragnetti, però, da nove mesi alla cloche del gruppo è ottimista: ««Ci sono davanti tre o quattro mesi difficili. Ma abbiamo in cassa le risorse necessarie per passarli e dall’estate si ripartirà . L’economia del resto non ci ha certo aiutato. Se petrolio e dollaro fossero ai livelli del 2009, oggi festeggeremmo 300 milioni di utile operativo e 200 milioni di profitti netti».
L’economia però è uguale per tutti dottor Ragnetti. Nei primi nove mesi dell’anno Alitalia ha perso 173 milioni di euro. Nello stesso periodo però Air France ha fatto 88 milioni di profitti, Easyjet 380 e Lufthansa ben 697. Come lo spiega?
«Lo spiego con il fatto che il Pil italiano è crollato del 3,3% negli ultimi quattro anni contro il +3,4% previsto dal piano Fenice. Noi abbiamo tutti i fondamentali a posto e abbiamo fatto, dati alla mano, un gran lavoro. Eravamo l’ultima azienda in Europa per puntualità e bagagli smarriti. Oggi viaggiamo al 99,9% di regolarità e abbiamo dimezzato le valigie perse. E grazie a tre miliardi di investimenti abbiamo la flotta più giovane del continente. Le ricordo che Air France fino a poco tempo fa capitalizzava 800 milioni e ha lanciato un piano di 5mila esuberi, Lufthansa di 3.500 e Iberia ha annunciato che senza 6mila licenziamenti fallisce».
Significa che Alitalia dovrà tagliare gli organici per tornare a guadagnare?
«Abbiamo avuto una discussione matura con i sindacati che ha tolto dal tavolo l’ipotesi di esuberi. Dopo i tagli del 2008, noi abbiamo creato e non distrutto lavoro».
A proposito del 2008 e della cordata dei patrioti. Non crede sarebbe stato meglio cedere subito Alitalia ad Air France senza scaricare 3 miliardi sulle spalle dei contribuenti?
«Mi sono ripromesso di non commentare quei fatti. Si illude però chi crede che Parigi avrebbe tenuto la compagnia così com’era. Sa cosa sarebbe successo? Una volta chiusa l’acquisizione, avrebbero annunciato 4-5mila esuberi a carico dello Stato. L’Alitalia del 2008 era una realtà ingestibile».
Può essere. Di sicuro però Parigi avrebbe dato più garanzie finanziarie ad Alitalia. Oggi la compagnia ha 20 soci divisi tra di loro e – in qualche caso – in difficoltà economiche. E molti di loro non hanno i soldi per una ricapitalizzazione che, alla luce del codice civile, è inevitabile…
«Alitalia è nata sottocapitalizzata, è sotto gli occhi di tutti. E dopo quattro anni sull’ottovolante qualche tensione tra gli azionisti è fisiologica. L’aumento di capitale però non è inevitabile. Abbiamo allo studio lo scorporo delle Mille Miglia e potremmo utilizzare quest’operazione per evitare la ricapitalizzazione ».
Non le pare un’operazione cosmetica di finanza creativa?
«No. È un progetto industriale serio. L’ha fatto Qantas, l’hanno fatto altre compagnie. Così valorizziamo un asset sottovalutato, scorporandolo. Ovvio, aiuta pure a fini contabili. Ma in futuro potrebbe servire a far cassa. La verità è che Alitalia oggi è molto più appetibile di cinque anni fa. Presidia meglio un grande mercato domestico, è stata risanata ed è ben gestita. Ai multipli di mercato, vale cinque volte più del 2008».
Eppure continuate a perdere. Il tam tam dei palazzi romani parla di un nuovo intervento di sostegno dello Stato attraverso la Cdp mentre Air France aspetta alla finestra sperando di portarsi via la compagnia con pochi soldi.
«Io non ho mai incontrato nessuno di Cdp. Air France? L’alleanza con loro ci ha dato grandi sinergie e in futuro fatico a immaginare un’Alitalia indipendente. Ma non abbiamo le mani legate. Le partnership si fanno e si disfano».
Come va il traffico? Non avete sbagliato a concentrarvi sul medio raggio dove c’è la sfida impossible con le low cost?
«Ottobre e novembre sono stati peggio dello scorso anno. A dicembre va abbastanza bene e tra gennaio e febbraio si intravede un miglioramento. Ovvio che il modello vincente è quello delle aerolinee a basso costo e delle grandi compagnie del Golfo. Noi stiamo ridisegnando il network nel 2013. È controproducente puntare sulle destinazioni dove vanno tutti e c’è troppa concorrenza. Punteremo su tratte meno frequentate dove però si fanno utili. Un esempio: abbiamo appena aperto il collegamento per Tbilisi e va benissimo, con un load factor dell’85%».
E la guerra con l’alta velocità sulla Milano-Roma?
«Abbiamo il 30-35% del mercato e quando il viaggio in treno scenderà sotto le tre ore in modo stabile sarà ancor più difficile competere. Ma oggi Alitalia è molto meno dipendente del passato dalla Linate-Fiumicino ».
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