In Iran o in Egitto si rischia davvero in Occidente tutto è intrattenimento

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Mentre mi preparavo per il mio discorso, mi sono resa conto che tra Egitto e Iran vi sono paralleli e c’è qualcosa di molto particolare che li accomuna nella loro storia politica recente e passata. Siamo due nazioni dalle grandissime civiltà  antiche, ma con una storia moderna travagliata, ostacolata da monarchie e dittature corrotte, fanatismo religioso, dominazione occidentale. E dalle rivoluzioni. Se l’Egitto nel 1952 visse la rivoluzione guidata da Gamal Abdel Nasser per liberare il paese dalla monarchia e dalla colonizzazione britannica, in Iran noi nel 1953 abbiamo vissuto il colpo di stato della Cia e la conseguente protesta di massa contro lo scià  e gli americani. Se nel 1979 l’Iran affrontò la rivoluzione islamica che scacciò lo scià  ma con la quale si piantò il seme di una nuova forma di dittatura teocratica, gli egiziani nel 2011 hanno destituito Mubarak e adesso devono fare fronte alla sfida dei Fratelli musulmani. E infine non si può non vedere il memorabile parallelo tra il Movimento Verde del 2009 in Iran e la Primavera araba, una serie di proteste pacifiche e non ideologiche ispirate da giovani donne e giovani uomini colti e lungimiranti che pretendevano cambiamento, giustizia e democrazia.
Da artista iraniana la cui arte è stata ispirata in origine dalla Rivoluzione islamica (per esempio con la serie delle mie Donne di Allah, e in seguito con video e film), ho dovuto raccontare a quei giovani artisti egiziani in che modo la “cultura” abbia avuto un ruolo fondamentale per gli iraniani che hanno dovuto affrontare e sopravvivere alle conseguenze della rivoluzione; come in mancanza di libertà  di espressione e di qualsiasi forma di aiuto, e in presenza di una pesante censura la cultura sia riuscita comunque a prosperare; come gli artisti iraniani si siano sentiti investiti di potere avendo compreso di poter diventare una minaccia e la loro arte uno strumento di resistenza contro le atrocità  perpetrate dal governo; in che modo gli artisti abbiano saputo affermare e confermare la dignità  e l’orgoglio della nostra nazione quando l’opinione pubblica mondiale ci ha considerati una terra selvaggia, abitata da estremisti teocratici e musulmani.
Concludendo il mio discorso ho cercato di far cogliere a tutti un aspetto positivo: anche se come individui e come comunità  abbiamo sofferto moltissimo e le nostre vite personali sono state condizionate dalla storia e dalle rivoluzioni, abbiamo il dono meraviglioso di poterci esprimere, di poter trasmettere le voci dei nostri popoli e delle nostre nazioni, di poter offrire una sensazione di speranza ed essere di ispirazione nel vortice della crisi politica e della disperazione. E infine ho chiuso il mio intervento dicendo che se gli artisti occidentali godono della libertà  di espressione, di sostegni economici e di sicurezza personale, possono tuttavia correre il rischio di restare a corto di idee, e – cosa ancor più importante – vedere la loro arte ridotta semplicemente a merce e intrattenimento.
(Traduzione di Anna Bissanti) (L’autrice è un’artista iraniana, i suoi lavori più noti utilizzano video, cinema e fotografia. “Donne senza uomini”, il suo primo lungometraggio, ha vinto il Leone d’Argento a Venezia)


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