Marco Revelli: “La rete ‘Cambiare si può’ delusa da Antonio Ingroia

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Il polo di Antonio Ingroia nasce accompagnato da quella che Marco Revelli definisce “forte delusione”. Insieme a Luciano Gallino, al magistrato Livio Pepino, Chiara Sasso e tanti altri nomi della società  civile, Revelli è promotore della rete ‘Cambiare si può’, il cuore sociale pulsante del polo guidato da Ingroia alle prossime elezioni. Ebbene, nel giorno dell’annuncio ufficiale della candidatura dell’ex pm antimafia, ‘Cambiare si può’ è in agitazione. Avevano chiesto che i segretari dei quattro partitini dell’alleanza – Di Pietro per l’Idv, Ferrero per il Prc, Diliberto per il Pdci, Bonelli per i Verdi – non si ricandidassero al Parlamento. “Per dare un segno di cambiamento, riavvicinare la gente alla politica, alla sinistra…”, dice Revelli. Ma lui e i suoi hanno perso. Ieri, con rammarico, lo stesso Ingroia ha loro confermato che i ‘quattro dell’apocalisse’ (come scherzosamente vengono chiamati nelle discussioni interne) non sono disposti al passo indietro. Rabbia e delusione.

Non mollano.
Devo dire che solo Ferrero aveva il mandato del partito a compiere il passo indietro qualora l’avessero fatto gli altri.

Ma questo non è avvenuto.
Assolutamente no. Noi avevamo chiesto un netto segno discontinuità  rispetto alle esperienze della sinistra politica, dei partitini della sinistra negli ultimi anni, come condizione per poter riconquistare la fiducia di quella parte di elettorato che sappiamo ampia e che è disgustata dal modo di fare politica dei partiti, dalle modalità  di scelta dei candidati, una situazione aggravata dal Porcellum.

Per non rifare la Sinistra arcobaleno, insomma, che nel 2008 non superò la soglia per entrare in Parlamento.
Sì. Abbiamo detto no alle candidature calate dall’alto, no alla scelta di mettere in posizioni di eleggibilità  i segretari dei partiti. Su questo il confronto si è arenato perché Ingroia ci ha detto che c’è una resistenza dei segretari a fare il passo indietro, che il passo indietro annunciato all’iniziativa al Capranica riguardava i simboli e non le persone e che la società  in prima fila e la politica in seconda non escludeva un posizionamento dei leader di partito in lista e per una certa elezione.

Dunque, ora i quattro saranno secondi al capolista Ingroia in regioni dove è più possibile che vengano eletti. E ora?
Abbiamo detto a Ingroia che avremmo interpellato gli aderenti a ‘Cambiare si può’, sottoponendo ogni decisione al voto. Entro il 31, con il voto telematico, prenderemo una decisione a maggioranza. Abbiamo spedito ai 13.500 aderenti una mail con il resoconto dell’incontro di ieri, due giorni per riflettere e votare ma mi sembra molto difficile che passi perché avere i capi in lista contraddice le esigenze di metodo che abbiamo posto in tutte le nostre affollate assemblee: quella con Ingroia il primo dicembre a Roma e poi il 22 e quelle di metà  dicembre in tutt’Italia. Partecipazione: 15mila persone.

Cosa fa più male?
Volevamo la rottura di quell’invadenza, dell’arroganza degli apparati di partito. E’ un elemento che allontana la gente dalla politica, se vogliamo riconciliare, dobbiamo rompere questo stile. Ciò non è avvenuto, per questo aspettiamo l’esito del voto. Alla fine può essere anche che la lista prenda voti comunque, Ingroia ha citato candidature del sociale, da Gabriella Stramaccioni di Libera a Flavio Lotti della Tavola della Pace. Ma temo resti quella macchia: la candidatura dei segretari di quattro piccoli partiti che altrimenti non ce l’avrebbero fatta a entrare in Parlamento e che quindi ci si fanno portare. Cambiare forse si può, ma è un processo lungo.

 


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