Napolitano lavora all’agenda della crisi Il Parlamento sarà  sciolto prima di Natale

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ROMA — Presidente, quale sarà  nelle prossime 24 ore la reazione dei mercati dopo le annunciate dimissioni di Monti? Ci puniranno? Lo spread tornerà  a schizzare in alto? Ricomincerà  la speculazione sui nostri titoli di Stato? «Vedremo che cosa faranno… Vedremo». E quassù, al Quirinale, come affronterete la nuova situazione che si è creata? «Faremo tutto quello che dobbiamo fare, fino all’ultimo… Per il resto, scusate, parlerò tra otto giorni, alla cerimonia di saluti con le alte cariche dello Stato… Lì farò le mie valutazioni».
È laconico, Giorgio Napolitano, dopo il big bang del governo tecnico innescato dal Pdl con una sfiducia di fatto e destinato a sviluppare con il voto un nuovo, per il momento ancora inimmaginabile, universo politico. Al rinfresco che segue il concerto nella Cappella Paolina, il capo dello Stato si sottrae alle domande, laconico per forza di cose. Prima di esprimersi, infatti, deve verificare come potrà  svilupparsi la fine della legislatura, dopo la scelta «irrevocabile» del premier: attraverso quali modifiche del calendario parlamentare, approvando quali leggi (se sarà  magari possibile vararne qualche altra, oltre a quella di Stabilità , su cui pende la zavorra di 1.500 emendamenti), con quali tempi. Il percorso dovrà  essere rimodulato in chiave di massima accelerazione, e senza troppe varianti. Con l’obiettivo di chiudere la partita entro il 20 dicembre, per permettere al presidente della Repubblica di firmare il decreto di scioglimento delle Camere prima di Natale.
A quel punto, restringendo nei limiti consentiti dalla Costituzione l’arco cronologico della campagna elettorale, si potrebbe votare in febbraio. Gianfranco Fini ieri si è sbilanciato a indicare la data del 10. Mentre per il Quirinale sembra più prudente l’indicazione del 17 o, meglio, del 24. Si va dunque a passo di carica, con inevitabili tensioni politiche e illazioni che si riflettono anche sul Quirinale.
C’è, tanto per capirci, chi ipotizza che l’abbandono di Monti abbia prodotto uno strappo con Napolitano. Congettura senza ancoraggi con la realtà  e comunque forzatissima, mentre è vero che il presidente, che pure aveva avuto certe avvisaglie della mossa del professore, è stato anch’egli spiazzato. Ma «comprendendo le motivazioni» che l’avevano ispirata. C’è poi chi, come il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, si sganghera a sostenere che capo dello Stato e capo del governo stiano addirittura «gufando» in sinergia sulla ripresa della speculazione internazionale ai danni dell’Italia, «per ottenere consenso elettorale». E c’è infine una deputata del Pdl, Michaela Biancofiore, la quale pretenderebbe che, dopo il ritiro di Monti, il presidente riaffidi a Berlusconi l’incarico di condurre il Paese al voto, perché il Cavaliere «è tornato ad avere la maggioranza in Parlamento». Sortite che il Quirinale non commenta neppure, ovviamente. Semmai, guardando alle dinamiche politiche degli ultimi giorni, sul Colle ci si limita a sottolineare che nelle scorse settimane si erano manifestate alcune eloquenti sfasature tra le dichiarazioni pubbliche di qualche leader politico (in particolare del Pdl) e l’oggettività  dei fatti.
Indizi di cattive intenzioni, insomma. I prodromi di un pianificato sabotaggio sulla residua attività  del governo che non potevano sfuggire a un politico di lungo corso come Giorgio Napolitano. Squadernando l’agenda del Parlamento, ad esempio, si trova che la prima legge da perfezionare in aula — e già  calendarizzata in tal senso — avrebbe dovuto essere il riordino delle Province. Bene, com’è che, proprio mentre si esprimeva consenso a varare quel provvedimento, si sollevava su di esso una pregiudiziale di costituzionalità ? Che cosa significa un simile scarto tra ciò che si dice e ciò che si fa, se non che si vuole truccare il gioco?
Non ci è voluto molto, al Quirinale, per legare queste tattiche di sabotaggio all’offensiva politico-mediatica scatenata da Alfano (e da Berlusconi) e per comprendere che il margine tra l’impegno parlamentare e la campagna elettorale era ormai sempre più esiguo. Serviva mettere un po’ d’ordine e, dopo la mossa del premier, anticipare l’anticipo. Napolitano, dopo aver vigilato sugli sviluppi dei prossimi giorni alla Camera e al Senato (e nel frattempo rassicurato le Cancellerie europee con la sua diplomazia parallela), dirà  come la pensa lunedì 17. Sarà  il suo ultimo bilancio davanti alle Alte cariche dello Stato. Esprimerà  un giudizio sulle conseguenze istituzionali di quanto è accaduto in queste settimane e chiederà  ai partiti uno scatto di responsabilità  per ricostruire il rapporto con i cittadini. Ma, soprattutto, farà  sentire la sua desolazione per la mancata riforma della legge elettorale.


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