“I populisti sfidano l’Europa in crisi basta tagli o la rabbia spazzerà  via tutti”

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LUBECCA – «Se mai Berlusconi dovesse tornare, considererei l’Italia inguaribile. Ma il populismo di destra è una sfida seria ovunque nella mia cara Europa in crisi. Temo che una politica di tagli e basta possa consentire ai populisti di destra di darsi un ruolo di difensori del sociale, che la sinistra ha avuto storicamente, ma potrebbe non conservare sempre. E l’Europa del futuro, l’Europa in cui i miei tanti figli e nipoti vivranno, la sogno certo più unita, più capace di decidere insieme. Ma anche come Europa che conservi la sua molteplicità . In pace, è una sua forza di fondo». Gà¼nter Grass confessa timori e speranze sul Vecchio continente. Il premio “europeo dell’anno”, conferitogli dal movimento europeista danese, lo incoraggia a tornare in campo.
Il populismo rialza la testa in Europa: Berlusconi, Orbà n, ma anche Francia o Scandinavia. Quanto è pericoloso?
«Cominciando da Berlusconi, mi lasci dire che se in caso di sua candidatura gli italiani fossero tentati di votarlo ancora una volta, con la migliore buona volontà , non sarebbe più possibile aiutarli. Ma al di là  dei suoi motivi personali, il populismo di destra minaccia di guadagnare spazi. Nella nostra cara casa comune così bella per le tante culture, identità  e volti, frustrazione, delusione, disperazione si diffondono. L’Ungheria è un caso particolare: scelte di repressione, verso le minoranze e non solo. Ma parliamo di tendenze vive anche nell’Ovest».
A che cosa pensa?
«Per esempio ai venti d’intolleranza verso minoranze come migranti o rom, che in Italia o in Francia hanno spinto a ondate di espulsioni. O alla durezza con cui trattiamo oggi la Grecia, dimenticando che decenni fa accettammo la dittatura dei colonnelli come partner Nato, e che un’Europa senza Grecia perderebbe la culla dei suoi valori costitutivi. E torniamo al presente. L’eurocrisi colpisce certezze ovunque, può colpire consensi alle forze democratiche che li credevamo acquisiti e garantiti».
Questa Ue in crisi ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Meritato o no?
«Credo che la scelta sia stata più un incoraggiamento a fare in futuro di più per meritarlo davvero. A rendersi all’altezza della sfida della crisi, e a rispondere alle speranze che questo grande, meraviglioso, eternamente incompiuto progetto chiamato Europa suscita nel mondo. Il nostro passato è segnato da secoli di guerre, e i tentativi grazie a Dio falliti di Napoleone o di Hitler di unire l’Europa con guerre e soggiogando gli altri popoli, screditarono l’idea di Europa unita. Ora la Ue vanta il periodo più lungo di pace dopo secoli di guerre. Ma temo, ad esempio, la delusione che la Ue con la crisi attuale sta suscitando nei nostri vicini dell’Europa del centro e dell’est che, sottomessi per decenni, coltivarono a lungo il sogno di unirsi a noi, sogno poi dopo l’‘89 divenuto possibile. Ora, magari, temono di perdere la giovane libertà  in un’Europa centralista. E sarebbe anche tragico dividere l’Europa in zone: una versione postmoderna, secondo i livelli economici, dell’errore di Carlomagno che divise l’Impero tra i figli e così pose le basi per secoli di guerre».
Il populismo è irreversibile?
«Spero di no. In paesi civili come la Danimarca, il populismo che ha gridato contro gli stranieri è stato così forte da condizionare il governo di centrodestra per anni. Poi, però, gli elettori ci hanno saggiamente ripensato, e il consenso su valori costitutivi liberal di quella democrazia scandinava, sono tornati in auge. Vede, è sempre bene riflettere su molti eventi attorno a noi».
Lei che Europa futura sogna tra dieci anni: un governo comune?
«Un’idea di grande impatto sarebbe un passaporto europeo. Uguale per tutti, non come oggi con scritto Ue e poi il paese. Magari in alternativa al passaporto nazionale. Lo sviluppo peggiore sarebbe chiudersi come fortezza contro i migranti che vengono da noi spinti dall’emergenza, e possono invece arricchire le società  in cui arrivano, come la Storia ci insegna in Europa e fuori. Se ci definiamo come fortezza-Europa, nasce una mentalità  di fortezza incompatibile con spirito e valori costitutivi della democrazia, e che legittimerebbe leggi d’emergenza e stato d’animo di panico costante».
Serve più Europa politica o c’è il pericolo che un’Europa politica più forte ma sotto il segno della priorità  al rigore, appaia un’entità  dal cuore gelido che produce miseria di massa e rischi di guerra civile?
«Primo, purtroppo è difficile spiegare ai cittadini che la crisi è causata soprattutto dal fiasco delle banche, per i cui errori paghiamo oggi tutti. Stati poveri e Stati ricchi, e tutti i loro cittadini. Un’idea sbagliata di politica di risparmi salva le banche, ma la massa della gente porta il fardello, in Grecia e Portogallo come da noi. È un’ingiustizia spaventosa. Il rischio di tensioni sociali gravissime cresce. Mentre dopo la fine delle ideologie non abbiamo più orientamento, e allora disordini sociali ampi e gravi possono facilmente spingere a destra, rafforzare destre populiste. Guai a illudersi che i movimenti di protesta sociale siano garantiti e gestiti dalle sinistre. Ci vuole un’Europa con una certa unità , forse una confederazione capace di decidere e insieme di dare più voce anche ai paesi piccoli, e conservando la molteplicità  e le autonomie di culture e volti del nostro caro Continente».


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