Quell’invito (a sorpresa) di Martens

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BRUXELLES — È accaduto tutto in quel momento, forse. Sono le 10.15 di ieri, quando una guardia del corpo si avvicina a Mario Monti e gli consegna un bigliettino con su due righe. Il primo ministro siede a un tavolo con poche altre persone, impegnato in una conferenza. Dà  una scorsa al foglio, si scusa, e va in un’altra stanza lì accanto, quasi subito con un cellulare all’orecchio. Tornerà  dopo 13 minuti esatti, alle 10.28. Se è stata quella la telefonata «a sorpresa» che più tardi verrà  raccontata da Wilfred Martens, il presidente del Partito popolare europeo, è allora che comincia la giornata più lunga dello stesso Ppe, e di Silvio Berlusconi, e di tutta la politica italiana. Perché nessuno ancora lo sa, ma Martens ha invitato Monti — che al Ppe non appartiene — al vertice dei popolari, dove ci sarà  anche Berlusconi: «Volevamo avere una discussione chiara fra i due, e se avessimo comunicato prima che avevamo invitato l’uno o l’altro, c’era il rischio che uno dei due non venisse…». «Mi hanno invitato — dirà  poi Monti — per illustrare la situazione politica italiana».
Mossa segreta, dunque, e studiata già  dalla sera precedente fra i leader del Ppe, il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, e altri protagonisti rimasti dietro le quinte: «C’era la sensazione — racconta uno di loro — che le ultime dichiarazioni romane di Berlusconi, o le altre che si preparava a fare qui, potessero coinvolgere il Ppe e portare alla sua implosione. Non si poteva star ad aspettare. Il partito doveva fare una scelta». Già  nella mattinata di ieri, nel Ppe erano in diversi a sapere, anche al di fuori del «cerchio» iniziale: ma tutti tenuti alla bocca chiusa.
Sette ore dopo quell’invito «a sorpresa», nell’Accademia reale belga dove si è appena concluso il vertice, ai piedi della scalinata con la guida rossa Berlusconi spalanca la braccia con il suo sorriso più convinto: «Ragazzi che forza che ho, no? Che io sia importante, lo si sa: negli ultimi due giorni tutti i quotidiani hanno scritto “Torna Berlusconi, trema l’Europa…”». Poco prima, davanti alla platea, aveva chiesto a Monti di essere il candidato premier («La sua visione e la mia si sommano, non vi sono differenze»), aveva detto che con il Professore e i moderati insieme «potremmo anche vincere le elezioni». E lui, Monti? «Non ha risposto né in un senso né nell’altro». Hanno risposto però gli altri leader, il Ppe compatto ha espresso sostegno all’attuale premier e alle sue riforme, «anche se toccherà  poi agli italiani decidere», come ha precisato Martens. Qualcuno chiede ora a Berlusconi se non percepisca tutto ciò come una dichiarazione di sfiducia nei suoi confronti: «Sfiducia? Ma no, nel Ppe mi sono sentito coccolato, anzi coccolatissimo. Ed è una menzogna assoluta che l’Italia fosse sull’orlo del disastro, quando io me ne sono andato». E Angela Merkel, la cancelliera tedesca, oggi vi siete parlati, voi due? «È arrivata dopo, è uscita prima, non ci siamo incontrati ma ci siamo sorrisi a distanza». Precisano fonti tedesche: «La cancelliera non gli ha rivolto la parola: ognuno, al suo turno, ha fatto le sue dichiarazioni». Ma un po’ di «ping pong» indiretto c’è stato: hanno parlato nell’ordine Monti, poi Berlusconi, poi Angela Merkel, il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e quello della Commissione europea José Manuel Barroso. E poi di nuovo Monti, e di nuovo Berlusconi, che ha coronato il discorso con un’ultima idea: «Abbiamo un’unica moneta, ma ogni Paese paga il denaro con tassi diversi. Per continuare ad avere l’euro in 17 Stati, ho proposto che il Ppe formi un comitato con i migliori economisti del mondo così da studiare una soluzione… Ma Juncker non ha approvato».
Il Cavaliere si congeda da tutti con un «io sono il più convinto degli europeisti». Poco prima se n’era andato anche Viktor Orbà n, leader di quel governo che il New York Times definisce «membro antieuropeo dell’Unione europea», e aveva salutato i giornalisti nella nostra lingua: «Forza Italia!». Nel frattempo, sul sito Web del Ppe, già  verso le 15 era comparsa qualche immagine del vertice: diverse foto di Monti e degli altri, non ne spiccavano altrettante di Berlusconi; eppure, poco più di un anno fa, sullo stesso sito le immagini del Cavaliere non erano certo rare. La conversione generale, iniziata qualche giorno fa, è diventata ora un galoppo affannoso: «Una cosa che, tutto sommato, non depone a favore della nostra coerenza e forse neppure della nostra dignità », osserva un dirigente popolare scandinavo. «Non me lo sono dimenticato quando molti di questi amici sostenevano che anche nel caso Ruby Berlusconi era solo una vittima, e i vostri magistrati dei persecutori. Com’è la vita…».
Scende la notte, comincia l’altro vertice, quello dei capi di Stato e di governo. Il Cavaliere riparte per Roma, Monti va a cena con Merkel e gli altri leader. E solo adesso si comincia a intuire il senso di questa strana giornata imperniata sullo psicodramma del Ppe: una parte dell’Europa, proprio attraverso il Ppe, ha preso per mano o per un braccio l’Italia, ritenendo a torto o a ragione che camminasse sull’orlo di un burrone. Se avesse il diritto di farlo, se abbia agito bene o male, lo diranno i prossimi mesi.


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