Basi, droni e commandos L’appoggio discreto degli Usa

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Molti sono clienti abituali di una pizzeria nel centro di Ouagadougou, in Burkina Faso, Paese chiave per Pentagono e Francia negli interventi in Africa. E lo è anche in queste ore di combattimenti, una fase nella quale gli Usa sono chiamati a svolgere un ruolo.
Washington si è preparata da mesi, creando strutture e punti d’appoggio per intervenire non solo nel Sahel, ma anche in Somalia, Uganda, Nigeria, Mauritania, ossia in quei teatri dove agiscono formazioni estremiste. Boko Haram, l’Armata del Signore, Shebab, Al Qaeda, sigle entrate nell’elenco dei bersagli. Per non dare dell’occhio gli americani impiegano aerei senza insegne — Pilatus e King Air — dotati di apparati in grado di seguire movimenti a terra e di intercettare comunicazioni. Operano da aeroporti minori, si confondono con decine di altri velivoli normali. Sono preziosi nell’inseguire gli spostamenti delle «tecniche», i pick up dei jihadisti. Captano gli scambi radio.
Parigi — secondo quanto ha scritto il New York Times — ha già  spedito a Washington una «lista della spesa». I francesi hanno bisogno del supporto dei velivoli-spia, dell’occhio dei satelliti e soprattutto dei droni armati. Predator e Reaper, dotato di missili Hellfire (ordigni da 100 mila dollari al pezzo), possono restare in volo per ore, pronti a incenerire le colonne qaediste. Anche i «mietitori» non sono troppo lontani. Li hanno dispiegati nella regione in concomitanza con la crisi in Nord Africa e non se ne sono più andati. Fanno perno su Sigonella, in Sicilia, e su un network di basi esteso. Sulla mappa compaiono poi il Marocco, l’Etiopia, le Seychelles.
Mezzi ad alta tecnologia. Obama è consapevole del pericolo islamista nel Sahel ma, come in Libia, vuole intervenire secondo due criteri: restiamo «dietro» (in questo caso alla Francia) e l’impegno deve essere limitato (conta la qualità ). Un mix di guerra aperta e segreta che è diventato la ricetta preferita dell’amministrazione democratica. Un modo per evitare avventure in stile iracheno ma al tempo stesso mantenere la deterrenza nei confronti dei terroristi. Si picchia in silenzio, con minori responsabilità , ma si picchia.
La conseguenza è che il Comando Africa si affida alle truppe che agiscono sotto due sigle, Socom (forze speciali) e il sottogruppo Inscom, l’Intelligence support activity di Fort Belvoir, in Maryland. Nuclei addestrati che affiancano eserciti africani alleati o che conducono missioni ad hoc. Il programma, varato nel 2007, si è intensificato nell’arco degli ultimi 12 mesi. E agli inizi di dicembre il Pentagono, insieme alla Casa Bianca, ha avviato contatti con il Congresso. I generali vogliono l’approvazione parlamentare per ampliare il loro raggio d’azione e colpire in profondità . La richiesta si fonda sulla convinzione che, con il progressivo disimpegno dall’Afghanistan, sarà  l’Africa ad avere un peso primario. Per l’instabilità  politica e per le ricchezze del continente, risorse sulle quali puntano in tanti. Gli Usa volevano procedere per tappe, quasi nascondendosi dietro la Francia. Solo che gli islamisti, lanciando l’incursione verso il centro del Mali, hanno rimesso in discussione i tempi costringendo gli occidentali a rispondere.


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