Cresce a Parigi la sindrome della guerra solo francese

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La partita si gioca sul piano diplomatico tra telefonate, riunioni, pressioni degli ambasciatori. L’Europa risponde con calma. Washington con ancor maggior lentezza. Per ora, l’unica vera certezza restano gli africani.
La missione Misma, decisa dall’Ecowas – l’organizzazione dei Paesi dell’Africa occidentale – dovrebbe rivedere al rialzo la stima di circa tremila soldati in gran parte ancora sulla carta. Secondo Ecowas, al loro fianco ci saranno anche Ciad, Sudafrica, Ruanda e forse Tanzania e Burundi e saranno gli europei a mettere a disposizione gli aerei di trasporto (due quelli italiani promessi dal ministro Terzi). Gli oltre 1500 uomini già  pronti e i quadri superiori della catena di comando sono solo in parte arrivati a Bamako. Gli altri aspettano nel vicino Niger. Sul piano militare, oltre al sostegno informativo garantito anche dagli Stati uniti, tra i Paesi occidentali solo la Gran Bretagna ha mandato un drappello delle sue forze speciali. Lo rivelava ieri il Guardian, specificando però che non hanno compiti di combattimento. Altri offrono (pochi) aerei.
Mentre l’Unione europea ha convocato per il 5 febbraio una riunione a Bruxelles con Unione africana, Ecowass e Onu, le Nazioni unite preparano uno scenario in tre opzioni, come ha scritto al Consiglio di sicurezza Ban ki-moon: sostegno logistico bilaterale ma senza finanziamenti del Palazzo di vetro, un sostegno dello stesso tipo ma con quattrini sborsati dai membri delle Nazioni unite, un’entrata in campo dei caschi blu una volta che saranno terminate le operazioni «combat». Ma gli scenari o le riunioni di coordinamento, dicono poco ai francesi in questo momento. La domanda che si fanno è se i «grandi» si muoveranno o no. Cosa farà  la Germania? E, soprattutto, cosa fanno gli Stati uniti?
Washington risponde con lentezza. Ha messo a disposizione tre aerei per il trasporto truppe. Altri in futuro per rifornimenti in volo. Non solo, a Parigi sarebbe stato chiesto di pagare il servizio – scrive la stampa francese-, una richiesta senza precedenti e mal digerita. L’audizione della signora Clinton ieri al Congresso è stata del resto abbastanza chiara per farsi un’idea di come l’amministrazione se ne voglia star fuori. La Clinton si è concentrata sulla protezione di diplomatici e cittadini americani. Si, certo, il Mali ma…Gli Stati uniti hanno già  fatto capire che di truppe di terra non se ne parla. Di più, sono riluttanti anche a rifornire in volo i cacciabombardieri. Vogliono starne fuori, almeno sino a quando il Mali non avrà  cancellato il golpe militare del 2012. Infine le notizie dal fronte sulle violenze commesse dall’esercito maliano hanno tutta l’aria di lievitare. E l’esercito francese fa spallucce, dicendo a riguardo di non avere in mano alcuna prova. C’è anche una partita moscovita e una orientale. Nella prima Mosca ha proposto ai francesi la possibilità  che entrino in campo per il trasporto solo compagnie private russe. I cinesi invece stanno zitti, anche se Romano Prodi sta cercando di far loro capire che, nel continente dove spadroneggiano in campo economico, la partita è anche interesse di Pechino. Poi c’è il Giappone: la morte dei lavoratori nipponici in Algeria ha alzato i toni di una polemica mai sopita sul ruolo dell’esercito del Sol Levante. Con pruriti interventisti che per ora si sono solo tradotti nella chiusura dell’ambasciata a Bamako.
La polemica, o il nervosismo, agitano ovviamente anche la Francia. E non solo per rendita politica visto che Sarkò ha polemizzato con Hollande sulla gestione della guerra. Ieri Isabelle Lasserre, una reporter del Figaro con molti anni di professione alle spalle, spiegava che il Mali non sarà  una passeggiata. Sarà  una «guerra lunga» se Parigi vuol davvero fare (imparando dalla lezione afgana, suggerisce il suo collega Renaud Girard) quel che il ministro della Difesa Le Drian ha promesso: «sradicare il terrorismo senza lasciare sacche di resistenza». Da soli?


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