Hillary sta meglio, ma si complica il ritorno alla Casa Bianca

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Di colpo l’iper attiva segretario di Stato americano, 65 anni, 112 Paesi visitati dal 2009 a oggi, si è ritrovata a misurarsi con le fragilità  di tutti gli esseri umani. Negli ultimi due giorni le notizie sono filtrate con studiata cautela, con il marito Bill Clinton, la figlia Chelsea a proteggerla da telecamere e fotografi, politici e postulanti.
Poi, già  nella mattinata di ieri, il bollettino medico è virato decisamente verso l’ottimismo: esclusi danni al cervello e alle funzioni motorie. In breve: la paziente è lucida, «interagisce con i dottori e i famigliari», e, in tempi brevi, potrebbe essere dimessa. Le televisioni hanno spiegato in lungo, con grafici e persino con qualche cranio di plastica, quali siano le possibili complicazioni. Ora, si suppone, buona parte dell’opinione pubblica si orienta meglio tra trombosi, grumi e terapie anti-coagulanti. Resta, invece, un senso di grande incertezza sul futuro politico di Hillary Clinton e quindi anche sulle prospettive del Paese. Può sembrare incredibile che mentre il presidente Barack Obama deve ancora cominciare ufficialmente il suo secondo mandato (l’«Inauguration day» è fissato per il 21 gennaio), nei due campi politici sia di fatto già  cominciata la corsa verso le presidenziali 2016. E fino a Natale, la segretaria di Stato sembrava predestinata a correre per la Casa Bianca. Questa volta senza rivali e senza discussioni: l’85% degli elettori democratici, secondo un sondaggio condotto da Orc International per conto della Cnn, non vede altri nomi, altri volti, altre storie se non quella della signora Clinton.
Da tempo Hillary ripete di non essere interessata a una nuova estenuante campagna elettorale. Anzi, nell’estate del 2011, intervistata dalla «Bbc» aveva stupito con questa dichiarazione: «Sono stanca di fare la trottola in giro per il mondo. Terminerò il mio mandato di Segretario di stato nel 2012. Poi sono molto interessata a passare il tempo con i miei amici e la mia famiglia, con Bill e mia figlia Chelsea». Da allora, ufficialmente, non ha cambiato idea. Tra qualche giorno lascerà  il suo posto di ministro degli Esteri a John Kerry. Intanto si è detta «lusingata» per il consenso e la popolarità  di cui beneficia.
Ma consenso e popolarità  sono cose volatili. Specie nel sistema americano, in cui la competizione vive spesso di asprezze. Hillary Clinton, ancora una volta, dovrà  farci i conti. Sta male da un mese. All’inizio di dicembre ha contratto una fastidiosa infezione all’intestino, accompagnata da febbre e disidratazione. Tanto da essere costretta, a metà  dicembre, ad annullare un viaggio nei Paesi arabi e, soprattutto, a saltare l’audizione davanti alla Commissione del Congresso che indaga sull’assassinio di Chris Stevens, l’ambasciatore americano ucciso l’11 settembre 2012 a Bengasi. I giornali più vicini alla destra, qualche avversario politico e persino personalità  di spicco come John Bolton, già  rappresentante degli Stati Uniti all’Onu, si sono lasciati andare a commenti sotto la linea del buonsenso. Il New York Post ha titolato sul «falso mal di testa della Clinton», Bolton ha parlato di «malessere diplomatico». Poco importa se la segretaria di Stato si era assunta la responsabilità  politica di quanto accaduto a Bengasi già  il 16 ottobre scorso. Niente da fare: ogni volta che c’è di mezzo lei, la discussione slitta, in modo irresistibile, nel personale, nel soggettivo. Sarà  così anche quando uscirà  dall’ospedale: i teschi di plastica lasceranno il posto alla domanda: ma una Hillary così può candidarsi a guidare il Paese? Seguiranno, come sempre, abbondanti dibattiti e sondaggi.


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